Patrick compose il numero del Pronto Intervento incapace di distogliere lo sguardo dal ragazzo riverso sul pavimento, al centro del corridoio. Alla risposta dell'operatrice, dovette fare uno sforzo immenso per parlare: aveva il petto stretto in una morsa dolorosa, i bronchi difettosi contratti nell'ennesima crisi asmatica.
«Un'ambulanza... subito... si è tagliato i polsi» riuscì a dire, prima di aspirare una generosa dose di Ventolin dal suo prezioso amico inalatore.
L'operatrice del 118 gli chiese di ripetere, come prevedibile non riusciva a sentirlo. Le note della Cavalcata delle Valchirie, riprodotte a volume altissimo, riempivano l'aria. Era stata proprio la musica a farlo accorrere su quella che non poteva essere altro che la scena di un suicidio, distogliendolo dagli appunti di Pedagogia. Intuendo che stava accadendo qualcosa di brutto, si era precipitato al piano di sotto, dirigendosi senza indugio verso l'appartamento dove vivevano la signora Marta e suo figlio Alessio, conosciuto in tutto il comprensorio come un ragazzo strano, estremo e autodistruttivo. Alessio era quello che sfasciava mobili e suppellettili nel cuore della notte, che litigava con sua madre urlando e bestemmiando, che non si faceva problemi a mandare al diavolo in modo estremamente colorito chiunque si soffermasse troppo a guardare i segni di tagli e bruciature sulle sue braccia o gli lanciasse sguardi contrariati. Quello che la sera di Pasqua di tre anni prima era stato portato via in barella dopo che il patrigno l'aveva pestato a sangue.
Non sarebbe stata la prima volta che ascoltava o suonava musica a tutto volume, e quali fossero i suoi gusti ormai lo sapevano tutti. Nirvana, Guns'n'Roses, Joy Division: rock potente e drammatico come ogni sua manifestazione emotiva. Musica classica mai, e se aveva scelto l'opera di Wagner doveva esserci un motivo ben preciso, meritevole di quell'incedere epico e marziale.
Patrick aveva trovato la porta aperta e si era affacciato in preda a un'intuizione che si era rivelata azzeccata. Alessio era disteso a terra, pallidissimo e con un'espressione stralunata, la maglia verde militare chiazzata di sangue.
«Chiama un'ambulanza, sbrigati!» aveva urlato Marta, altrettanto pallida e stralunata, indicandogli l'apparecchio all'ingresso «Il mio bambino sta morendo!»
Il ragazzo si era voltato verso di lui, i loro sguardi si erano incrociati. Aveva gli occhi di un verde scuro e cupo, penetranti, permeati da una brama di vita che ribolliva impetuosa sotto il velo di dolore e confusione estremi, e per un attimo erano stati illuminati debolmente di una scintilla di gratitudine. Alessio non voleva davvero morire, e per quanto la cosa gli fosse sembrata incomprensibile visto il suo gesto, gli aveva dato una ragione in più per aiutarlo come poteva.
«Un ragazzo si è tagliato i polsi...siamo in zona Torrevecchia» urlò Patrick nella cornetta. Scandì a fatica il nome della via e il numero civico, esasperato dalla necessità di parlare a voce alta quando anche sussurrare richiedeva un notevole sforzo. Se a togliergli l'aria fosse davvero l'ennesima crisi asmatica o piuttosto il panico, non avrebbe saputo dirlo, e comunque non aveva importanza. Asma e ansia erano sempre andate a braccetto, più spesso la prima conseguenza della seconda e non il contrario, perché aveva imparato ad accettare e gestire il proprio difetto di fabbrica.
Come per miracolo la musica cessò.
«Quarto piano» continuò sollevato «Fate presto. Sta perdendo molto sangue.»Quelle chiazze di rosso avrebbero tormentato i suoi sogni per molto tempo, ne era sicuro. Non aveva mai visto una persona gravemente ferita, tantomeno un suicida, e il ricordo di quando era stato lui a sanguinare e ad aver bisogno di un'ambulanza per quanto indelebile aveva assunto connotati surreali.
«Posso fare qualcosa?» chiese dopo aver riattaccato ed essersi avvicinato ad Alessio e sua madre. Aveva bisogno di sedersi, fare i suoi esercizi di respirazione e allontanarsi dal pericolo di una crisi asmatica più forte, ma non poteva fermarsi, forse serviva ancora il suo aiuto, la sua presenza. Sul pianerottolo si era radunata una piccola folla, ma nessuno sembrava intenzionato a intervenire, nessuno era davvero sorpreso. Urla, commenti inorriditi, sguardi tristi o vagamente disgustati. Poi finalmente qualcuno - Bogdan, il ragazzo rumeno sempre in prima fila quando c'era bisogno di dare una mano - entrò nell'appartamento, ma Marta, che nel frattempo aveva avvolto degli asciugamani attorno ai polsi del figlio e l'aveva messo in posizione antishock, gli fece cenno di andarsene.
«Ci penso io. Patrick, tesoro, dì a questa gente di lasciarci soli e di fare meno chiasso. Il mio bambino ha bisogno di tranquillità.»
Patrick si voltò verso i vicini e fece loro cenno di allontanarsi, portandosi un dito davanti alle labbra.
«Andrà tutto bene, signora.» Poteva essere una frase banale, di circostanza, ma lui ci credeva davvero. La sua intera esistenza era fondata sull'ottimismo, sulla speranza, sulla convinzione che si potessero superare anche le prove più difficili. E sette anni prima, dopo la notte più lunga e spaventosa della propria vita, ne aveva avuta la prova concreta. Mai, nemmeno per un'istante, aveva pensato di non farcela, neanche quando i suoi bronchi erano stati sul punto di alzare bandiera bianca, neanche quando era stato lasciato solo, ferito e al buio, e alla paura comunque inevitabile si era aggiunto il terrore di quello che avrebbero potuto provare i suoi genitori e i suoi fratelli non vedendolo rincasare. Beh, per essere precisi, a un certo punto aveva messo in conto l'idea di non arrivare all'alba e di rivedere i propri cari solo da un tavolo dell'obitorio, ridotto a un corpo martoriato e senza vita, ma aveva scacciato quel pensiero con veemenza, quasi che solo crederci l'avrebbe reso concreto.
«Al mio bambino manca l'istinto di autoconservazione, vive sull'orlo di un abisso» gli rispose Marta, sospirando. Il figlio doveva aver preso da lei i modi teatrali. «Quel mostro me l'ha distrutto, maledetto bastardo, deve marcire in galera.»
Alessio sembrò sul punto di dire qualcosa, li squadrò entrambi con quegli occhi sempre più spenti, sempre più distanti, poi tornò a fissare un punto imprecisato davanti a sé e scosse la testa come se non volesse credere a quel che vedeva, una mano premuta sul ventre. La sua anima stava sanguinando più dei suoi polsi, e Patrick sentì un brivido gelido e sottile attraversargli la spina dorsale.
Il fatto di essere stato sfiorato dalle mani scheletriche della Morte e di non poter escludere che un giorno la patologia da cui era affetto potesse aggravarsi al punto da provocargli una crisi fatale, non gli faceva provare rabbia verso chi la propria vita la trattava come un oggetto di poco conto. Lo portò invece a chiedersi quanto dolore potesse sopportare l'animo umano prima di esplodere in mille pezzi. Strinse tra le dita la croce che portava al collo, azzurra come i suoi occhi limpidi e luminosi, e promise a se stesso che qualunque cosa gli fosse capitata, qualunque prova la vita avesse deciso di sottoporgli, avrebbe lottato fino all'ultimo per rimanere intero, come aveva sempre fatto.
🩸🩸🩸
Si parte, col botto, e ovviamente col sangue. Non ho molto da dire su questo prologo, se non che mi è sembrato il modo migliore di collegare questo romanzo ad ALESSIO e di iniziare a farvi conoscere Patrick. O ri-conoscere, per chi è qui dopo aver letto LA CASA DELLE OMBRE ROSSE.
A proposito, mi farebbe piacere come siete arrivati qui, come avete trovato questa storia, se non ci conosciamo già!
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Patrick
General Fiction*storia fruibile anche senza aver letto il volume precedente* **Sono centosedici capitoli ma non molto lunghi** L'ultima estate del ventesimo secolo si preannuncia nient'affatto noiosa per il ventiduenne Patrick, un tranquillo studente universitario...