87. L'Aurelia è una strada pericolosa (prima parte)

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«Non so se fare il tifo per Dani o per Paddy» disse Coniglio la domenica sera successiva. «Sapete che vi dico? Che perda il peggiore!»

Danilo gli mostrò il dito medio. Si era tolto polo e camicia, rimanendo in maglietta a maniche corte, e aveva il viso in fiamme: un po' per il caldo del locale affollato, un po' per il nervosismo. Non era poi così convinto di avere la vittoria in tasca, visto che gli avevo dimostrato di non essere un avversario da sottovalutare. Una sconfitta l'avrebbe accettata, non sarebbe stato come fallire un esame universitario il cui esito dipendeva solo dalla sua preparazione, ma il bisogno di dare il meglio di sé era per lui un automatismo.

«Adesso silenzio, fammi concentrare!»

Impugnata di nuovo la stecca, studiò la situazione. Tentare il colpaccio era da escludere, non sarebbe mai riuscito a imbucare contemporaneamente la palla quindici e Limoncella, come la chiamavano lui e i suoi amici. Gli ci sarebbero voluti due tiri distinti e forse poteva persino permettersi di sbagliarne uno, tanto io ero in svantaggio di almeno due turni e a pensarci bene non potevo sembrargli poi tanto abile da ribaltare la situazione.

«Forza, Ingegnere, fai i tuoi conti e tira!»

«Ho detto silenzio

«Matteo, per favore, fallo concentrare» intervenne Viola, infastidita. A volte i suoi amici erano esasperanti, sarebbe stupido negarlo.

Per tutta risposta, Coniglio e Marco iniziarono a saltellare, agitando le braccia come due cheerleader goffe e fuori sincronia. Si erano contenuti fino a quel momento, intimoriti dalla presenza di altri ragazzi che certamente gli ricordavano i compagni di scuola che li avevano derisi ed emarginati durante l'adolescenza, ma tutti sapevamo che presto o tardi avrebbero inscenato uno dei loro siparietti demenziali. A me non dava fastidio: anche se ero abituato a compagnie più sobrie, non li trovavo imbarazzanti o inopportuni, e a volte mi lasciavo anche trascinare. Eravamo ancora giovani e comunque non mancavamo di rispetto a nessuno.

«Dammi una D, dammi una A, dammi una N...»

«Fatela finita!»

«..dammi una I, dammi una L, dammi una O. Daaaaniiilooooo!»

«Siete due bambini deficienti.»

«Dani! Dani! Dani!»

Rassegnato,  Danilo si impose di ignorarli e fece scivolare la stecca sul tavolo, con un movimento perfetto solo in apparenza. La palla quindici schizzò verso la buca dichiarata, ma lui non aveva calibrato bene la potenza del tiro, quindi  cambiò traiettoria, rimbalzò contro la sponda, spostò Limoncella e per poco non s'imbucò al lato opposto, dopo aver mandato in buca la cinque facendomi un favore. L'incredulità e la frustrazione sul suo volto furono così esplicite che persino Coniglio non osò dire nulla.

«Sfido chiunque a combinare un disastro peggiore di questo.» La situazione, alla fine, l'aveva ribaltata lui, mi aveva servito  la vittoria su un piatto d'argento. «Tocca a te, Paddy, spero tu non sia coglione come me.»

Mi apprestai quindi a procedere con quello che a meno di un terremoto o qualche improvviso cambiamento nelle leggi della fisica sarebbe stato l'ultimo tiro della partita.

«Immagino debba mandarle in buca tutte e due, se voglio vincere» dissi, arrossendo subito dopo al pensiero di aver fatto una battuta non per tutti divertente. Non avevo nessuna intenzione di infierire sul mio avversario.

«Devi grugnire» mi ricordò Coniglio.

«Posso saltare questa parte?»

«No, devi grugnire. Sono le regole. Se prima non grugnisci, il tiro non è valido.»

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