74. Il cianuro non perdona

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Mancavano ancora due ore alla cena e il mio stomaco non voleva saperne di aspettare per cui, dopo essermi un po' calmato fumando una sigaretta nella sala comune, mi diressi dritto in camera, pronto a dedicarmi al dolce che mi aveva portato Ivanka la sera prima.

E a chiamare Viola.

C'era stato un momento in cui avevo pensato di allontanarmi da lei perché era evidente non mi sarebbe mai bastato essere semplici amici, ma di fronte ai messaggi che continuava a inviarmi non ce l'avevo fatta e, in attesa di dirle la verità, le avevo fatto credere di essermi trasferito temporaneamente da una fantomatica zia, per motivi che poi le avrei spiegato. Se l'era bevuta e c'eravamo già sentiti un paio di volte.

La ragazza arrivata la mattina precedente mi salutò con un sorriso imbarazzato e, quando mi guardai intorno confuso, mi accorsi che mi aveva seguito e mi stava osservando, ferma sulla soglia della mia stanza con le braccia incrociate sul petto.

«Stai cercando la tua crostata?»

Io annuii, stupito ma non troppo. Farsi gli affari degli altri era il passatempo preferito di metà dei pazienti.

«L'ho mangiata io. Scusami, è stato più forte di me. Ho un disturbo alimentare e stavo impazzendo, senza cibo.»

Doveva avere pressappoco la mia età. Era bassina, con grandi occhi scuri e un caschetto di capelli castani con le lunghezze blu elettrico. Indossava dei jeans neri larghi e svasati sul fondo, e una felpa dei Soundgarden, di almeno un paio di misure troppo grande. Forse era un po' in sovrappeso, era difficile capirlo con quegli abiti informi. Di sicuro era molto graziosa

«Non importa» le risposi dopo un primo attimo di smarrimento, e le sorrisi. Il suo disagio era palese, non volevo certo peggiorare la situazione. Le feci cenno di avvicinarsi e lei mi raggiunse, sedendosi sul letto e scusandosi di nuovo. Aveva un buon profumo, abbastanza delicato da non mettere a dura prova i miei bronchi difettosi.

Non avevamo ancora avuto modo di presentarci, quindi le tesi la mano.

«Io sono Patrick. Con la c e con la kappa.»

«Michela. Miky, con la kappa e con la y. Mi sento una merda, Patrick, mi capita di rubare cibo e lassativi al supermercato e lo trovo divertente, ma non avevo mai fatto una cosa del genere. Quando viene mia madre a trovarmi te ne faccio portare un'altra, ma non le dire come è andata esattamente, le racconterò che me ne hai offerto un pezzo e io ho esagerato.»

«Miky, non importa. Era solo una crostata.»

«Ma mi vergogno da morire. Posso...posso farti un servizietto se ti va. Per sdebitarmi.»

La proposta mi ricordò Ivanka, ancor più quando declinai gentilmente l'offerta e Michela mi chiese se non la trovassi abbastanza carina. In realtà mi piaceva, e molto, anche se percepivo un carattere aggressivo e dominante dietro il suo atteggiamento imbarazzato, e la mia mente in pochi istanti visualizzò il più cupo degli scenari: ci saremmo legati l'un l'altra in modo malato e io avrei avuto la peggio, perdendo un ulteriore brandello della poca sanità mentale che mi rimaneva.

«Non è il caso, Miky. Carina sei carina, non è questo il problema.»

«Sei finito qui per colpa di una ragazza, eh?»

«Forse» risposi, e non sapevo a chi stessi pensando di più, se ad Angelica la cui morte mi aveva sconvolto e mi aveva fatto sentire in colpa per avercela avuta con lei, o a Stefania o a Viola che non avrei mai potuto avere e che senza volerlo aveva dato il via alla mia pericolosa danza con la Morte.

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