Il lunedì successivo, grazie all'intercessione di Marta che riuscì a evitarci i tempi d'attesa biblici della sanità italiana, Gabriele mi accompagnò al Policlinico Gemelli, dove avrei parlato con uno psichiatra specializzato in disturbi d'ansia.
Ero di ottimo umore, nonostante in me fosse ancora vivo il ricordo di quella notte orribile in cui avevo creduto di morire, o forse proprio per quello: sfuggire alle grinfie della Nera Signora - sia dopo le atroci torture che il mio inconscio si divertiva a infliggermi che in contesti concreti - stava diventando un'abitudine, un gioco in cui vincevo sempre, e sfangarla quando sapevo che era tutto reale al cento per cento mi faceva sentire quasi invincibile. Ero anche consapevole, però, di non volere che la mia vita diventasse un incubo continuo e quindi avevo bisogno di correre ai ripari quanto prima.Nutrivo un'immensa fiducia nei confronti dei professionisti della mente, pur non facendo i salti di gioia all'idea di dover prendere dei farmaci. Psicologi e psichiatri mi avevano rimesso in piedi dopo il Fattaccio, grazie a loro ero riuscito a riprendere in mano la mia vita e avevo potuto fare le mie prime esperienze sentimentali (quasi sempre disastrose, ma non era colpa di Alfredo Marini e dei suoi scagnozzi), conoscere le gioie del sesso, circondarmi di amici, diplomarmi, iscrivermi all'Università, pensare al futuro come a un'opportunità e non a una condanna, con gli stessi tempi dei miei coetanei e senza trascorrere l'adolescenza in un luogo buio e spaventoso.
Alessio invece era scettico, preoccupato. La sua esperienza con strizzacervelli e psicoterapie era stata disastrosa, «quasi peggio dei traumi che l'avevano resa necessaria ma non efficace» (una profezia autoavverante, a detta di Manuel), e temeva che anche per me sarebbe stato lo stesso. Aveva paura che qualcuno spegnesse la luce che tanto mi invidiava, e che mi rendeva ai suoi occhi il perfetto complemento alle tenebre che lo dilaniavano. Ma io non ero Alessio, non ero cresciuto nella violenza e nell'abbandono, non avevo un disturbo di personalità borderline (più lo conoscevo e più mi convincevo fosse quella la diagnosi che gli avevano, o che gli avrebbero, attribuito). Non ero «frantumato in mille pezzi» e segnato da un trauma troppo devastante per essere ricordato, non mi sentivo sporco e carnefice di me stesso, quindi avevo un approccio molto diverso alla terapia e, soprattutto, non pensavo di non meritare aiuto.
Il dottor Dell'Acqua era un uomo sulla sessantina, in lieve sovrappeso, con un paio di antiquati occhiali da miope e una folta barba brizzolata che gli conferiva un aspetto bonario. Sembrò stupito nel vedermi (poi avrei capito perché) e la sua espressione seria si trasformò presto in un sorriso paterno. Se aveva dei figli, probabilmente erano più grandi di me.
«Il signor Martini?» mi chiese, guardando prima me, poi un foglio sulla scrivania, poi di nuovo me. Credo che nessuno prima di allora mi avesse chiamato signore.
«Patrick Martini.»
«Quanti anni ha?»
«Ventidue.»
«Quando è nato?»
Che razza di domande erano?
«Il sette maggio del 1977.»
«Qui c'è scritto 1967. Si sono sbagliati. Siediti, Patrick. Si scrive con la c e la kappa, vero?»
«Sì.»
«Hanno sbagliato anche questo.»
Per un attimo mi balenò in testa l'immagine della mia lapide, col nome e la data di nascita sbagliati, ma non riuscii a leggere la data della mia morte. La cosa non mi turbò: una delle mie battute più frequenti quando qualcuno sbagliava a scrivere il mio nome era appunto che avrebbero sbagliato anche nell'inciderlo sulla mia lapide. Faceva il paio con la storia delle sette vite (ormai ridotte a quattro) ed era un po' una sorta di rituale scaramantico: parlare della Morte mi aiutava a tenerla lontana. Inoltre, creava un inaspettato contrasto con la mia immagine solare e la rendeva più divertente, meno scontata, o almeno così mi sembrava.
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Patrick
General Fiction*storia fruibile anche senza aver letto il volume precedente* **Sono centosedici capitoli ma non molto lunghi** L'ultima estate del ventesimo secolo si preannuncia nient'affatto noiosa per il ventiduenne Patrick, un tranquillo studente universitario...