105. Ritorno a Villa Gardenia (seconda parte)

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«Entra, ti porto dell'acqua

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«Entra, ti porto dell'acqua.»

La donna si voltò verso quello che doveva essere il marito, come a cercare la sua approvazione e il suo appoggio, e l'uomo ribadì l'invito, spostando una sedia dal tavolo al davanzale.

«Siediti, non fare complimenti.»

Stavano invitando in casa un perfetto sconosciuto che si era introdotto nella loro proprietà e non si era presentato o scusato, né aveva dato uno straccio di spiegazione a parte dire di essersi perso, e Patrick, ancora sufficientemente ancorato alla realtà, sul momento se ne stupì ma poi, presa coscienza delle proprie condizioni fisiche, capì che con buona probabilità anche sua madre si sarebbe comportata allo stesso modo.

«Soffro molto il caldo» spiegò accettando il bicchierone d'acqua che gli venne porto dall'uomo più giovane (anche lui dall'aspetto familiare, non del tutto rassicurante). Il bicchiere era di vetro azzurro, gli ricordava quelli che usava sua nonna per i cocktail di latte e sciroppo con cui dissetava lui e i suoi fratelli nei lunghi pomeriggi estivi. Bicchieri di colori diversi: Gabriele sceglieva sempre quello verde, Erika il giallo o il rosso. Lui l'azzurro, perché gli ricordava la sua croce portafortuna.

«Sono asmatico e cardiopatico» aggiunse.

Per rafforzare il concetto, finito di bere e ringraziato con un sorriso tirato, si tastò il petto (con l'impressione ci fosse qualcosa, sotto le costole, che le stesse spingendo verso l'esterno e che se non tenuto a bada gli avrebbe fatto esplodere la cassa toracica in uno spettacolo pirotecnico di sangue e frammenti d'osso) e attinse al suo inalatore.

«Non è una cardiopatia grave» si affrettò a precisare una volta resosi conto che gli sguardi fissi su di lui si erano fatti più preoccupati. «Però ho avuto due arresti cardiaci e devo riguardarmi, non sarei dovuto uscire a quest'ora.»

Nonostante l'affanno e la debolezza - e l'aria ambigua di quelle persone in apparenza tanto gentili - sentiva il bisogno di parlare, di dire chi fosse, come se tenersi tutto dentro l'avrebbe portato alla morte per asfissia in pochi minuti.

«Vuoi che chiamiamo un'ambulanza, o un tuo familiare per farti venire a prendere?» gli chiese l'uomo più anziano, tirando fuori dalla tasca dei calzoni un telefono cellulare.

«Va già meglio, grazie. Forse avevo solo sete. Posso avere ancora dell'acqua?»

«Certo» rispose la donna che l'aveva fatto entrare. «O un succo di frutta, magari hai un calo di zuccheri?»

Patrick annuì. In effetti poteva trattarsi anche di quello, visto che non aveva praticamente fatto colazione ed erano le... che ora era? A naso avrebbe detto l'una e mezza, ma potevano benissimo essere già la tre, considerata la velocità con cui passava il tempo quel giorno. Si guardò attorno alla ricerca di un orologio, pur avendone uno al polso, e lo trovò proprio dove pensava che fosse. Una pendola col quadrante tondo e la cassa in ebano, dalla forma che ricordava un confessionale. Solo allora ne percepì il ticchettio, come il bicchiere azzurro evocativo di pomeriggi estivi nella casa dei nonni, sia paterni che materni.

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora