65. Punizione rosso sangue

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«Come è andata?» mi chiese Gabriele

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«Come è andata?» mi chiese Gabriele.

Era seduto sul letto con Erika, stavano sgranocchiando patatine e sfogliando un libro di cui non riuscii a leggere il titolo. Lui era l'unico a sapere del mio colloquio di lavoro ed esitai a rispondere.
Mia sorella dovette intuire di essere di troppo e se ne andò subito, senza neanche salutarmi. Aveva ripreso possesso del maglione a dolcevita nero che era stato la mia divisa da depresso e mi resi conto che era di nuovo magrissima, anche se nelle ultime settimane sembrava aver ripreso a mangiare come prima e la sera precedente ci aveva stupito tutti finendo gli avanzi del pranzo abbondante che aveva chiuso persino il buco nero che avevo io al posto dello stomaco. Forse fu solo una mia impressione, ma la fugace occhiata che mi rivolse sembrava alquanto scocciata, come se avessi interrotto qualcosa di bello.

«Male» risposi dopo aver sentito la porta della sua stanza chiudersi. «Nel frattempo hanno trovato un altro ragazzo e in alternativa mi ha proposto di partecipare a un filmino porno.»

Gabriele rise, era evidente pensasse stessi scherzando e non potei biasimarlo, anch'io avrei pensato lo stesso.

«Almeno ti avrebbe pagato bene?»

«Non abbastanza, io valgo molto di più.»

«Tu vali molto, fratellino. Dopo cena io e Max andiamo a bere qualcosa dal Gufo, vieni anche tu?»

«Mamma che ne dice?»

«Dice che se anche stasera c'è nebbia non sarà per niente tranquilla a sapermi in macchina sull'Aurelia, cosa vuoi che dica? Vieni anche tu, Paddy?»

«Non lo so, sono un po' stanco.»

Ero stanco davvero. Dentro. I miei piani includevano dormire per il resto del pomeriggio e poi oziare davanti alla tv con una tazza di latte e due fette o tre di pandoro farcito al cioccolato, alla faccia del mio girovita in fase di espansione. Tanto ero giovane e fresco, avevo tempo per rimettermi in riga e iniziare a fare seriamente esercizio fisico. La settimana prossima, dopo le feste, un giorno di questi. Fantastico. Anzi, ottimo! Ci stavo ricadendo di nuovo, ma era un passo indietro contro quattro in avanti e andava bene così. Inoltre ero più che giustificabile.

«Come stai?»

«Te l'ho appena detto. Stanco.» Prima che Gabriele potesse spiegarmi cosa intendesse, aggiunsi: «Per il resto molto meglio. Sono solo deluso, ero stupidamente convinto che il colloquio fosse solo una proforma.»

«Li vedo gli sforzi che stai facendo. Sono fiero di te, sei un leone»

Io non mi sentivo affatto un leone. Un gatto pigro e sovrappeso, piuttosto, che preferiva ronfare nella sua cuccia (sul davanzale no, soffrivo di vertigini) e giocare con palline di gomma, perché ogni volta che provava a uscire e attraversare la strada rischiava di azzerare il contatore delle sue sette vite in un colpo solo.

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