95. Thick as a brick

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La mattina seguente Patrick si svegliò alle undici, al trillo del citofono. Aveva un sano, comprensibile bisogno di sonno ristoratore e relax dopo una settimana di alzatacce e dopo aver fatto le ore piccole con gli amici, brindando tre volte ai suoi ventitré anni con altrettanti abbondanti bicchieri di Brachetto D'Acqui, e sarebbe volentieri rimasto a letto fino all'ora di pranzo se Gabriele non fosse piombato in camera avvisandolo che c'era una visita per lui.

«Alessio?» bofonchiò, strizzando gli occhi infastidito dalla luce chiara che preannunciava una splendida giornata di sole e tepore.

«Molto meglio.»

«Ivanka.»

«No, Viola. Dice di essere passata per farti gli auguri. Da sola.» Gabriele gli fece l'occhiolino, con l'aria di chi la sapeva lunga.

«Ah sì.» Patrick iniziò a ricordare. Quella domenica si giocava Milan-Roma e Danilo sarebbe andato a seguire la squadra del cuore in trasferta, ne avevano parlato il weekend precedente. I biglietti per partita e viaggio in treno erano un regalo di Viola per farlo svagare in un periodo di studio particolarmente impegnativo. «Il suo ragazzo è a Milano.»

Ma io ero rimasto che sarebbe andata anche lei per incontrare delle ragazze conosciute sul forum degli Oasis, ne parla da settimane.

«Alza quel culone e datti una sistemata. Sono sicuro che non si offenderà per l'attesa.»

«Tu sei sicuro di troppe cose.»

«Dovessi essermi sbagliato, troverò il modo di trattenerla. Dai fratellino, è così palese! Mamma si sta già chiedendo se vi sposerete in chiesa o in Comune...»

«E quello che vede cose inesistenti sarei io! Tu comunque stai tranquillo, in chiesa ci torno solo dentro una cassa da morto.»

«Per quel giorno mi auguro che le chiese siano state tutte rase al suolo» rispose Gabriele, serafico.

Trenta secondi dopo, Patrick era sotto la doccia. Non perse tempo a radersi e asciugarsi del tutto i capelli, e neanche a scegliere con cura cosa indossare. Si limitò a cambiare la fasciatura al braccio, lavarsi i denti e infilarsi un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe. Fintanto che fosse stato in ordine e pulito, il suo aspetto non avrebbe fatto granché differenza.

Trovò la ragazza sul balconcino con Enzo. Era truccata in modo leggero, anche lei in jeans e maglietta, nessuna mise da dark lady. Il sole incendiava i riflessi ramati della sua chioma sciolta sulle spalle, il suo profumo riempiva l'aria come il Poison di Stefania ma non era altrettanto minaccioso, tutt'altro.

Patrick arrossì fino alla radice dei capelli, anche se ormai si conoscevano bene, anche se aveva superato la fase dell'imbarazzo nel vederla, e non era neppure la prima volta che si incontravano di fronte alla sua famiglia al corrente dei sentimenti che provava per lei.

«Buongiorno, Viola» disse, dopo aver rivolto un veloce salute a madre e sorella.

Le sorrise e la raggiunse, percependo ancora più forte la sensazione che l'aveva accompagnato dalla serata trascorsa a casa di Ivanka: la sua vita non era poi così crudele e insensata e forse stava per riservargli di nuovo qualcosa di buono. 

In cucina, Viviana ed Erika stavano preparando le fettuccine con l'Imperia di nonna Margareth, l'odore del ragù che cuoceva a fuoco lento si fondeva con l'effluvio floreale portato da Viola, come a suggellare l'unione tra due realtà che lo rendevano felice: Viola era di casa, ormai, non stonava in quel contesto rassicurante e quotidiano.

Anche lei arrossì, forse per l'improvvisata, forse perché non erano soli. Si alzò e, dopo qualche esitazione, lo abbracciò, intuendo che lui se lo aspettava, che gli avrebbe fatto piacere.

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora