92. L'amor che move il sole e l'altre stelle

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"Look into my eyes
You will see, what you mean to me
Search your heart, search your soul
When you find me there, you'll search no more"

(Bryan Adams, (EVERYTHING I DO) I DO IT FOR YOU )

Un tripudio di fiori e note agrumate, dolcemente speziato, mi arrivò alle narici sovrapponendosi di prepotenza alla puzza di fumo e all'odore di fritto che proveniva dalla cucina. Era uno dei pochi profumi che non mi facevano starnutire e lacrimare, un profumo che all'epoca usavano in tante ma che su Viola prendeva un accento particolare, pulito e appena frizzante. Inconfondibile.

Alzai lo sguardo dal bloc-notes su cui stavo appuntando le ordinazioni del tavolo due (nello stato mentale in cui versavo da tre giorni la mia concentrazione era andata a farsi benedire, insieme alla memoria a brevissimo termine, ed ero stato costretto a rispolverare quell'abitudine che avevo perso con la pratica) e intravvidi la chioma fiammante della donna di cui ero innamorato.

Sì, non mi ero sbagliato. Era proprio la mia Viola, non una qualunque altra ragazza che usava Eternity di Calvin Klein, e non ne fui neanche sorpreso. Alla fine del suo ultimo, lungo messaggio, il pomeriggio prima mi aveva detto che sarebbe venuta a bere qualcosa allo Shamrock e più che un modo carino di farmi sapere che le avrebbe fatto piacere rivedermi presto nonostante fossi impegnato col lavoro per tutto il weekend, mi era sembrata una promessa.

Non vidi Danilo e gli altri, però, ma solo una ragazza alta quanto lei, con i capelli castano chiaro ondulati e una borsa di Hello Kitty.

Doveva essere la famosa Eleonora, la sua amica storica. Quella che dopo due anni di asilo e cinque di elementari vissuti in simbiosi, l'aveva tradita il primo giorno delle medie sedendosi accanto al ragazzino che le piaceva. Viola c'era rimasta malissimo, si era sentita abbandonata in una classe in cui non conosceva bene nessuno, sola nel banco in fondo all'aula che aveva scelto per non prendere posto accanto a qualche estraneo. Ma dieci minuti dopo l'inizio delle lezioni, una bambina arrivata in ritardo le aveva chiesto se potesse sedersi lì e aveva attaccato subito bottone. Nel giro di pochi giorni, Tatiana era diventata la sua nuova Migliore Amica, la seconda di una lista lunghissima che io sapevo a memoria, una lista fatta di abbandoni e nuovi inizi; talvolta di ritorni, com'era stato con Eleonora che poi aveva ritrovato al liceo e con cui ora aveva un rapporto meno simbiotico e più maturo.

Le tenni d'occhio con discrezione, mentre la ragazza al tavolo due continuava a modificare la propria ordinazione ogni tre secondi.

«Scusa, ci ho ripensato. Prendo l'apple pie e un tè. Anzi no, l'ho già provata la volta scorsa, che dolce mi consigli?»

«I waffles con i lamponi e la panna montata sono buonissimi.»

«Allora provo quelli. Però con la Nutella. Anzi no, fammeli fare con crema e marmellata. Di amarene.»

Viola ed Eleonora erano ancora in piedi, in attesa che qualcuno dicesse loro dove potevano sedersi. Forse avrei fatto in tempo a essere quel qualcuno, e a servirle poi io.

«No guarda, ho cambiato idea. Ho voglia di salato. Le patatine fritte le fate voi o sono quelle surgelate?»

«Surgelate. Altrimenti ci sono quelle al forno.»

«Ottimo.»

«Ottimo. Togliti la camicia.»

Mi parve di sentire l'odore stantio di Villa Gardenia. In pochi istanti rivissi i momenti imbarazzanti passati nello studio di Lorenzo Marino, come un film mandato avanti col fast-forward.
Mi accadeva più volte al giorno: la mia mente lavorava troppo e come se non fossero sufficienti le paranoie e il continuo rimuginare sul significato profondo di ogni singolo evento apparentemente banale, ci si erano messe anche queste incursioni estemporanee nei miei ricordi più disturbanti, innescate da una parola, un suono, un odore.

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora