104. Ritorno a Villa Gardenia (prima parte)

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Sometimes I give myself the creeps
Sometimes my mind plays tricks on me
It all keeps adding up
I think I'm cracking up
(Green Day - BASKET CASE)

Il giorno seguente era il ventinove di giugno, San Pietro e Paolo, a Roma festa patronale. Il cielo prometteva pioggia ma, almeno in periferia, si poteva già gustare un assaggio dell'esodo ferragostano, complice anche il fatto fosse giovedì e quindi un'ottima opportunità per fare ponte.

Patrick uscì a metà mattina, in preda a una strana eccitazione psicomotoria. Uscì a piedi, nonostante il caldo (soltanto ventisei gradi, niente di eccezionale, ma per lui già abbastanza) perché all'improvviso, casa sua aveva smesso di sembrargli un luogo accogliente, un rifugio sicuro dove trovare un po' di sollievo dal mondo esterno che gli appariva sempre più ostile, sempre più alieno. All'una, i suoi amici lo aspettavano a casa di Danilo per una grigliata in giardino. I fratelli del ragazzo erano stati dimessi una settimana prima, ormai fuori pericolo e in convalescenza («un vero miracolo», a detta dei medici), e le cose stavano tornando alla normalità. Danilo era più tranquillo e, di conseguenza, anche Viola (non ancora pronta, però, a lasciarlo, per quello ci sarebbe voluto ancora del tempo), e avevano approfittato del giorno festivo per organizzare un pranzo con tutta la cricca.

Lui non si sentiva dell'umore adatto per stare in compagnia ma, come già detto, non si sentiva a proprio agio neanche in casa propria. Aveva trascorso una notte infernale, costellata di incubi vividissimi in cui, tra una coltellata e l'altra, tra un calcio nello sterno e uno nello stomaco, Tuchulca aveva infierito anche sulla sua mente, insinuandoci dubbi atroci.

«E se la tua famiglia ti avesse mentito? Non ricordare non significa non aver vissuto. Pensa ad Alessio.»

«Sono così iperprotettivi. Non sarebbe la prima volta che ti nascondono qualcosa. Ti trattano come un bambino. L'hanno fatto quando Angelica è morta, l'hanno fatto per l'aborto di tua madre, per il ricovero di Alessio. Hanno provato a nasconderti quello che poteva turbarti ma non ucciderti, vuoi che non ti nascondano un evento traumatico come uno stupro?»

Non ricordare non significa non aver vissuto.

Non ricordare non significa non aver vissuto.

Non ricordare non significa non aver vissuto.

Stufo di non ottenere da lui alcuna reazione significativa, il demone - ormai trasfigurato dalla decomposizione, un ammasso di ossa e pelle liquefatta di cui quasi poteva sentirne l'olezzo, con le orbite vuote dietro cui guizzavano le fiamme dell'Ade da cui era sbucato per torturarlo - si era chinato sul suo corpo fradicio di sudore e gli aveva infilato una mano nei calzoncini.

«Provo a rinfrescarti la memoria, magari questo ti ricorda qualcosa.»

Il suo volto cadaverico aveva iniziato a mutare in una giostra di fattezze diverse, assumendo via via l'aspetto di parenti, amici, conoscenti, insegnanti, persino quello di Padre Giampiero, mentre gli suggeriva cosa poteva aver provato nel venire molestato sessualmente

«Oppure questo.»

L'aveva costretto a inginocchiarsi, tenendolo per i capelli e spingendogli la testa sul cavallo dei suoi pantaloni che cadevano a pezzi.

«Per un ragazzino può essere traumatico quanto prenderlo nel culo. Quanti anni avevi, Paddy? Sapevi già cosa fosse il sesso?»

Patrick aveva continuato a non ricordare nulla. Allora Tuchulca aveva ricominciato a prenderlo a calci. In faccia, nel petto, sul basso ventre, nella pancia; fracassandogli le ossa, sfondandogli lo stomaco. Ai piedi calzava pesanti anfibi militari, come quelli del patrigno di Alessio.

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora