82. Filo spinato

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Avevo sempre visto Alessio abbigliato in stile grunge o con mise da seduttore di periferia che mettevano in risalto la sua avvenenza fisica, qualche volta infagottato in maglie informi e nere se in preda a episodi pesanti di dismorfofobia, per cui trovai alquanto insolito trovarmelo davanti in versione Bravo Ragazzo Della Porta Accanto, con un paio di jeans scuri e intonsi, un maglione blu e una camicia a quadretti beige.

«Lo so, lo so» mi disse, incapace di trattenere la propria ilarità. «Neppure tu ti conceresti così.»

«Sei stato a un colloquio di lavoro?» Risi anche io, la prima risata genuina da quando avevo fatto salire Danilo per un caffè.

«Mia madre ha invitato a cena il suo nuovo amichetto. Un tizio che ha un'agenzia di assicurazioni. Ci tiene a fare bella figura primo perché questo tizio le piace e non vuole che sappia che ha un figlio spiantato, secondo perché spera ci scappi una proposta di lavoro per me.»

«Ah, quindi non puoi cenare con noi? Mamma fa la pizza, mi ha chiesto di invitarti.»

«Meglio di no, stasera mi tocca recitare la parte del figlio perfetto e mi gira bene, posso sopravvivere e divertirmi pure.»

Un'ombra più cupa di quelle che non lo abbandonavano mai attraversò il suo sguardo. Sapevo quanto adorasse passare del tempo con me e la mia famiglia, che lo accoglieva sempre col calore di cui aveva estremo bisogno. A casa nostra si trasformava, diventava davvero il Bravo Ragazzo Del Piano Di Sotto, sorridente, gentile, affettuoso, senza dover fingere e indossare maglioncini con lo scollo a V. Era riuscito persino a entrare nelle grazie di mio fratello, cosa non facile.

«Aspetta» continuò. «Oggi avevi l'esame. La pizza è per festeggiare, vero?»

«Sì. È andato molto bene. Ventotto.»

«Grande Paddy! E poi dicono che i rosci sono stupidi!»

«Chi lo dice?»

«Io. Manuel mi sta facendo una testa così con uno che incrocia in Università e che non se lo fila. Ma adesso non ho voglia di parlare di Manuel. Sono felicissimo per te. Mi dispiace di non averti chiamato, sarei potuto salire da te dopo pranzo ma...mi era passato di mente, scusami. Ho dormito tutto il pomeriggio perché stanotte non ho chiuso occhio, avevo paura di non sentire la sveglia.»

Alessio era su di giri, decisamente. In modo sano, per quanto potessero essere sane le sue reazioni esasperate anche nel bene. Doveva essere stata una giornata produttiva anche per lui e, prima che riuscissi a formulare la mia domanda, mi spiegò che aveva avuto un colloquio di lavoro.

«Un bar a Monteverde. Devo fare due settimane di prova a partire da lunedì prossimo e sinceramente mi attira di più che far firmare polizze seduto a una scrivania. Sono già ventisei ore che non bevo e non fumo erba, dimmi bravo!»

«Bravo, Alessio.»

Lo ammetto, se da una parte ero contento per lui, dall'altra ero un po' rattristato. Non che avessi nulla contro i baristi, sia chiaro, ma avevo l'impressione che il mio amico pensasse di non poter ambire a un lavoro diverso, che gli permettesse di esprimere le sue potenzialità creative con qualcosa di più che disegnare cuori e fiori nella schiuma del cappuccino. Però in effetti lo vedevo anch'io meglio dietro un bancone che dietro una scrivania: nonostante la sua indole cupa e introversa, ci sapeva fare con la gente. Era magnetico, spigliato, affascinante, all'occorrenza anche con chi non era interessato ai suoi occhi verdi e al suo corpo perfetto. Tutto l'opposto di me, insomma. Ma non era per questo che lo ammiravo: se avessi potuto assorbire una delle sue qualità, avrei scelto la forza d'animo. Alessio aveva superato prove ben peggiori delle mie, conviveva con seri disturbi mentali da almeno dieci anni, era crollato innumerevoli volte ma altrettante si era rialzato, e tutto questo senza i saldi punti di riferimento che avevo io, senza un Prima sereno a cui voler tornare.

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