10. Una splendida giornata

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«Angy, devo riportarti a casa.»

Il tempo era volato, erano già le sei di sera. Dopo pranzo avevano fatto una passeggiata in una delle tante spiagge libere, togliendosi le scarpe per camminare sulla battigia. Avevano parlato molto, condividendo episodi della loro infanzia e progetti per il futuro, riempiendo i pochi momenti di silenzio con sguardi eloquenti e prolungati. 

Nessuno dei due era riuscito a spingersi oltre: Angelica probabilmente per inesperienza, Patrick più per rispetto dei suoi tempi che per timidezza.
Non solo. C'era qualcos'altro che lo frenava. Con una ragazza più grande e smaliziata si sarebbe fatto meno problemi e sarebbe partito all'attacco, fedele al proprio motto O la va o la spacca. I rifiuti gli facevano sempre male, ma erano da mettere in conto, e col freno a mano tirato non si andava lontano. Stavolta però voleva essere sicuro dei propri sentimenti e di non rischiare di ferire quella ragazzina che lo guardava con occhi sognanti, che pendeva dalle sue labbra e continuava a dirsi felice di averlo conosciuto, cercando spesso un contatto fisico. 

A un certo punto si erano ritrovati a camminare mano nella mano, e non per pochi metri come quando lui l'aveva condotta nell'Antro di Tuchulca.

Ora erano seduti sul muretto antistante una delle tante gelaterie del lungomare. Angelica stava gustando un cono stracciatella e puffo, con le labbra azzurre di colorante artificiale. Si era tolta gli stivaletti DrMarten's e li aveva sciacquati a una fontanella, sperando di non portare a casa sabbia che rivelasse che non era stata al McDonald's di zona. I suoi piedini candidi e delicati penzolavano nel vuoto, e di tanto cercavano le mani di Patrick o gli sfioravano i fianchi facendogli il solletico. Di certo non era nuova al gioco della seduzione, per quanto più impacciata di Elisa o Stefania, ma lui si trattenne dal dare un seguito ai suoi approcci, limitandosi a fingere di volerla mordere e strappandole risate divertite con miagolii a cui lei rispondeva imitando animali a caso.

«Di già?»

«Non voglio che i tuoi genitori si preoccupino. Dai, andiamo...»

«Mi riporterai qui? Magari di mattina, con il costume, così facciamo il bagno e prendiamo il sole...»

«Certo, se vuoi. Ma conosco tanti posti ancora più belli.»

«Mi porterai anche alla necropoli a cercare Tuchulca?»

«Promesso. E magari non lo facciamo di nascosto, così non mi sentirò un criminale rapitore di minorenni.»

«Tra qualche mese sarò maggiorenne. È stata una bellissima giornata, Paddy. Posso chiamarti Paddy?»

«Devi

 Chiamarlo col diminutivo che gli aveva dato nonna Margareth voleva dire entrare a far parte della sua vita più di una semplice comparsa, voleva dire essersi ritagliati uno spazio nel suo cuore. Nessuno lo chiamava così prima che si fosse creato un qualche tipo di legame, normalmente si rivolgevano tutti a lui col suo nome per intero oppure Pat o Pà. Tranne Max, che lo chiamava Petrick da quando l'insegnante di educazione fisica delle medie (una dei pochi che lo detestavano, chissà poi perché) aveva iniziato a storpiare il suo nome, esasperandolo.

«Grazie, Paddy. Avevo proprio bisogno di prendermi una pausa dallo studio, e tu mi hai fatto un regalo bellissimo.» Angelica gli cinse la vita con le braccia sottili e gli diede un bacio su una guancia. «Ora siamo amici, vero?»

Lui non rispose.

Amici. Certo, su questo non ci piove. Comunque vada, rimarremo amici.

Era sicuro che lei non gli avrebbe mai fatto del male, semmai era possibile il contrario. Possibile anche se non probabile.

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora