66. La ballata dei sensi di colpa

87 11 69
                                    

Il giorno successivo passai da Alessio, intenzionato a raccontargli dei miei tagli autoinferti. Chi meglio di lui avrebbe potuto capirmi?
Mio fratello, che non aveva mai avuto il minimo dubbio ne avrei parlato con il mio amico, storse il naso quando mi vide uscire senza cappotto, intuendo dove stessi andando. So che non ce l'ha mai avuta con Alessio, non l'ha mai considerato uno sciroccato da cui tenersi alla larga, ma come sempre aveva inquadrato presto la situazione e aveva capito come si sarebbe evoluta. Aveva capito anche che non sarebbe riuscito in nessun modo a farmi desistere dal mio proposito di condividere con lui quanto avevo combinato in bagno, ma se avesse immaginato l'ennesima brutta esperienza a cui stavo andando incontro, si sarebbe opposto con decisione.

Nel soggiorno di casa Speranza (un appartamento più piccolo di quello in cui vivevo io e caratterizzato da un ordine maniacale), trovai anche Manuel. Non era un problema, anzi l'idea ci fosse anche lui mi rassicurò, avrebbe portato quel tocco di equilibrio mentale che fino a pochi mesi prima avrei portato io.

I miei due amici avevano appena finito di mangiare, sul tavolo c'erano delle vaschette di alluminio che avevano contenuto cibo cinese, tre bottiglie di birra vuote e l'ultimo quarto di un pandoro farcito di mascarpone e Nutella.

«Prendine una fetta prima che Alessio lo finisca» mi disse Manuel, indicando il dolce. La voracità di Alessio era leggendaria, una sorta di barzelletta. Poco prima che io smettessi di uscire, eravamo andati a cena in un ristorante mongolo con la formula a buffet, quella che oggi viene definita all you can eat. Quando Manuel aveva alzato bandiera bianca e io avevo finito a fatica il dodicesimo involtino primavera dopo svariati ravioli alla griglia, due porzioni di riso al curry e tre di pollo alle mandorle, lui si era riempito di nuovo il piatto e aveva spazzolato tutto con nonchalance. A differenza mia, però, aveva un fisico invidiabile, la pancia piatta e tonica, che sfoggiava (quando non era in preda alla dismorfofobia) vestendosi in modo vistoso (non ce ne sarebbe stato bisogno, monopolizzava gli sguardi di ambo i sessi anche con dei semplici jeans larghi e una T-shirt nera).

Rifiutai stoicamente, per non vanificare gli effetti del mio allenamento mattutino: sei chilometri di corsa e quaranta minuti di esercizi a corpo libero. Dopo la mia caduta del pomeriggio precedente mi ero rialzato ed ero ripartito; tra i miei buoni propositi figurava anche sentirmi più a mio agio nel mio involucro terreno e non solo non avrei procrastinato come mi suggerivano gli strascichi della depressione, non avrei neanche rimandato all'anno nuovo o alla fine delle feste.

«Sto cercando di smettere» risposi, e adocchiai i due pacchetti di Marlboro sul tavolino. «Posso?»

Manuel parve sconcertato, quando capì che non stavo scherzando.

«Meglio di no.»

«Non rompere il cazzo, Manu, se uno vuole fumare lo fa anche se tu non vuoi.» Alessio piantò i suoi profondi occhi verdi nei miei. Lui non guardava. Lui ti scrutava l'anima, e sono sicuro siano state poche le volte in cui non ha intuito le reali intenzioni di chi gli ha fatto del male, almeno dopo essersi rotto. Non finiva nei guai per ingenuità, ma per più o meno consapevoli pulsioni autodistruttive e tanta impulsività.

«Se sputi un polmone, però, ti prendo a schiaffi» aggiunse con un sorrisetto.

Mi sedetti con loro e gustai la mia sigaretta senza intoppi, mentre Manuel mi raccontava di essere stato assunto nella panetteria di mio zio. Ci rimasi male. Non per Manuel, beninteso: ero felice avesse trovato lavoro visto che anche suo padre era disoccupato (e furioso con se stesso per essersi licenziato da uno dei più grandi istituti di vigilanza di Roma, seguendo il collega che si era messo in proprio fondando la Protego Security). I Valentini avevano una situazione economica diversa da quella della mia famiglia, con una bella villetta di proprietà e la mamma di Manu che, per quanto part-time, un lavoro ce l'aveva ancora, ma certo sarebbero stati più tranquilli con un secondo introito. Ci rimasi male perché zio non aveva aiutato papà (però per Natale ci aveva regalato uno scatolone enorme colmo di cibarie e buon vino).

PatrickDove le storie prendono vita. Scoprilo ora