Capitolo 52

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Draco

5 aprile 1998

Faticai ad abituarmi alla luce. Le palpebre erano pesanti, le labbra secche. Mi mossi leggermente quando sentii un profumo di lavanda riempirmi le narici. Stropicciai gli occhi e mi costrinsi ad aprirli.
Lei era lì. Avvinghiata al mio busto come un koala. Non ricordavo come fosse finita nel mio letto e per un momento mi assalì il panico. Alzai la coperta, controllando che entrambi avessimo tutti gli indumenti. Sembrava di si. Tranquillizzato, mi girai a guardarla, bellissima. I lineamenti erano rilassati, messi in evidenza dalla luce che filtrava dalla finestra. Avrei voluto tanto che quel momento fosse rimasto impresso nella mia mente, ma a cosa sarebbe servito?
Le sue palpebre fremettero e mi ricomposi velocemente, cercando di mostrarmi disinvolto. Quando aprì gli occhi e mi vide, le sue labbra si curvarono in un sorriso leggero. «buongiorno» Mormorò, staccandosi da me e stiracchiandosi un po'. Arricciai la fronte e mi chiesi sinceramente perché non mi stesse urlando in faccia.
«come ti senti?» Si alzò sui gomiti e mi guardò con attenzione.
«sto bene.»
Lei annuì, poi si mise a sedere sul letto. Mi lanciò un'occhiata, come se si aspettasse qualcosa da me.
«non capisco.» Dissi, guardandomi intorno.
Lei alzò un sopracciglio, confusa. «cosa c'è da capire?» Domandò, non capendo a cosa mi riferissi.
«perché sei qui?» Chiesi di scatto, come se quella domanda mi bruciasse la gola da troppo tempo. Lei rimase interdetta per qualche secondo, poi fece un sorrisetto nervoso. «sei stato tu a chiedermelo.» Disse, con un filo di incertezza.
«io ti ho chiesto di dormire con me?» Alzai le sopracciglia, puntandomi un dito sul petto.
«mi hai chiesto di restare con te, di non lasciarti.» La sua voce era tremolante. Ed io semplicemente non riuscivo a ricordare. Ricordavo che ero in stanza, lei era venuta per portarmi degli appunti, poi mi ero addormentato. Avevo avuto un incubo, lei era con me. Nient'altro. «io non... non ricordo.» Decisi di essere sincero. Era inutile fingere che ricordassi il modo in cui l'avevo pregata di non lasciarmi. La vidi irrigidirsi, si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo sulle mani che si contorcevano in grembo. «avevi la febbre alta, probabilmente si è trattato di un delirio» Disse, a bassa voce. Scostò meccanicamente la coperta e si mise a sedere sul bordo del letto, poggiando i piedi a terra. «per questo non ricordi.» Aggiunse, alzando le spalle. Potevo sentire un pizzico di amarezza nella sua voce, come se fosse delusa. Probabilmente una parte di lei sperava davvero che io ricordassi. Lo speravo anch'io, ad essere onesto. Quando si alzò dal letto e si piegò per prendere le scarpe, scorsi un luccichio sull'anulare della mano sinistra. Il mio stomaco si attorcigliò e il mio cuore cessò di battere per alcuni secondi. Quando ripresi fiato, lei mi stava guardando.
«ti senti bene?» Chiese, cauta.
«indossi ancora l'anello.» Dissi, senza nemmeno degnarle di una risposta. Lei abbassò la testa e osservò la sua mano con una smorfia in viso. «non... non ricordavo di indossarlo ancora.» Replicò, alzando di nuovo lo sguardo. «vuoi che lo tolga?» Chiese poi.
«no.» Scattai subito, poi mi ricomposi. «voglio dire... se vuoi tenerlo puoi farlo.» Aggiunsi, impacciato. Lei non disse nulla, ma la vidi far scivolare l'anello lungo il dito, poi lo appoggiò con amarezza sul comodino, lanciandomi uno sguardo. La guardai a mia volta, percependo il suo dolore nel restituire ciò che racchiudeva il nostro amore. Le sue mani tremarono mentre le riportava lungo i fianchi. La stanza fu inondata da un silenzio assordante, quasi vibrante. Avrei voluto che continuasse a tenere l'anello, così che una parte di me -di noi- rimanesse per sempre con lei, come un pennarello indelebile su un foglio. Ma quando lo ripose sul ripiano in legno senza nemmeno esitare, potei sentire il mio cuore ridursi in un piccolo buco nero. Lei mi aveva salvato dai miei demoni, ma ne aveva creati altri. E, alla fine, scoprii che lei era uno dei miei demoni peggiori, perché mi aveva amato e permesso di amarla, perché mi aveva fatto credere che qualcuno, nella mia vita, sarebbe potuto rimanere sul serio.
Mi ritrovai ad avere le labbra serrate mentre abbassava la maniglia della porta e usciva dalla mia stanza. E mi chiesi quante volte il mio cuore potesse sbriciolarsi ancora.
Dovevano essere le sette passate e la colazione sarebbe iniziata da lì a poco. Riflettei sulla possibilità di andare in Sala Grande, ma non mi parve davvero il caso. Così rimasi in stanza per praticamente tutto il giorno, a oziare sul letto e a scarabocchiare su una vecchia cartina astrologica. Mi ritrovai persino a leggere dei libri di potenziamento sull'essenza del Drago -il che non era davvero un problema ma, onestamente, avevo altro a cui pensare. Alle diciotto passate, decisi che fosse l'ora giusta per uscire. La febbre era passata, ma Madama Chips aveva chiesto di vedermi per un controllo, tanto per essere tranquilli. Così mi ritrovai a camminare verso l'infermeria mentre una classe si svuotava dopo aver finito una lezione pomeridiana. Affondai le mani nelle tasche con disinvoltura proprio mentre Blaise entrava nel mio campo visivo. «ciao, amico» Mi diede una leggera pacca sulla spalla. «come ti senti?» Mi scrutò per un attimo, come se stesse ispezionando il mio corpo.
«sto bene.» Dissi, stufo di ripeterlo.
«bene, perché stasera ci sarà una festa.» Le sue labbra si curvarono in un sorriso malizioso.
«Merlino, è martedì, cosa ci sarà mai da festeggiare?» Alzai gli occhi al cielo. Non era come se non mi piacesse l'idea di un festino nella Sala Comune Serpeverde, semplicemente non ero dell'umore giusto.
«è il compleanno di un ragazzo del sesto anno.» Blaise scrollò le spalle, come se avessi dovuto saperlo. Io alzai un sopracciglio. «nemmeno lo conosciamo.» Io e Blaise non parlavamo praticamente mai con i ragazzi più piccoli, non per un motivo in particolare. E, a meno che Blaise non avesse esteso la sua cerchia di amici agli studenti del sesto anno, ero quasi sicuro che non sapesse nemmeno il nome di quel tizio.
«che importa? Siamo carichi di studio ogni giorno, ci meritiamo una pausa.»
Pensai che potesse essere un Capo Scuola eccellente, con tutti quei discorsi sulle pause. La conversazione finì lì e continuai il mio percorso verso l'infermeria. Quando arrivai, Madama Chips stava visitando un ragazzino del secondo anno che si era avvicinato troppo al Platano Picchiatore. Aveva i gomiti sbucciati e i vestiti sporchi di terra, ma sembrava star bene. La donna avvertì la mia presenza e mi invitò a prendere posto su un lettino. Dopo circa cinque minuti, era davanti a me, scrutandomi con un sopracciglio alzato. «le articolazioni come vanno, caro?» Chiese, mentre poggiava la mano sulla tempia per capire se avessi ancora la febbre.
«bene, suppongo.» Risposi, con fare annoiato. Volevo davvero tornare in stanza.
«la testa ti fa male?» Mi prese il viso con due mani e lo piegò per controllare se la ferita alla testa si fosse rimarginata.
«no.» Dissi, piano.
«bene, sembra essere tutto a posto.» Dichiarò, alla fine. Mi alzai subito, desideroso di chiudermi nella mia camera da letto. «puoi andare, ma vorrei che tu tornassi dopodomani per un controllo.» Sistemò il lettino su cui ero seduto fino a pochi secondi prima, stirando la coperta azzurrina. Dopo avermi fatto giurare che sarei tornato per un ultimo controllo, la donna mi lasciò finalmente andare. Girovagai per i corridoi vuoti per svariati minuti. Dovevano essere tutti in Sala Grande. Quando entrai in Sala Comune, tutto era già pronto per la festa. Sul tavolo rotondo adesso c'era un grande recipiente di vetro che conteneva uno strano liquido verde, oltre a bottiglie di alcol sparse e qualche bicchiere di carta. I divani erano stati spostati ai lati della sala, creando una pista da ballo. Il camino e le colonne di marmo erano state decorate con striscioni verdi e lucine led, persino nelle travi del soffitto era possibile scorgere qualche decorazione penzolante. Sul lato sinistro c'era una piccola postazione per la musica, formata da un mobile (su cui era appoggiato un giradischi vecchio stile) e un jukebox.
«Draco» La voce di Pansy riecheggiò alle mie spalle, fredda e tagliente. Quando mi girai, lei era in piedi con altre bottiglie d'alcol fra le braccia. Feci un cenno con la testa per salutarla, ma lei non si degnò di ricambiare. Mi sorpassò, lanciandomi un'occhiata, e posò le bottiglie sul tavolo.
«sei arrabbiata con me?» Mi ritrovai a chiedere, guardandola sistemare le bottiglie in ordine di grandezza. Onestamente, non riuscivo a comprendere il motivo per il quale proprio lei dovesse essere arrabbiata con me.
«tu che dici?» Scattò, voltandosi per guardarmi negli occhi. Mi strinsi nelle spalle e mi schiarii la voce. Si, era evidentemente arrabbiata.
Fu lei a parlare ancora, senza darmi il tempo per metabolizzare la situazione. «sto mentendo ad un'amica, l'unica che io abbia mai avuto.» I suoi occhi luccicarono. Fu allora che capii quanto tutta quella faccenda non riguardasse più solo me e Selene, ma anche chi ci stava accanto. La nostra relazione era tanto tossica da far impazzire anche i nostri amici. «mi dispiace.» Dissi, incapace di dire qualcos'altro. Sapevo che non bastasse, ma mi convinsi che non avrei potuto dire niente di più consono.
«come puoi nasconderle una cosa del genere?» Sembrava esasperata e onestamente non avrei mai potuto biasimarla. Si passò una mano sul viso, sospirando stancamente. «dico davvero, Draco, non me ne starò zitta questa volta.»
«Pansy» Le presi il polso, spostandole la mano dal viso e costringendola a guardarmi. «se glielo dici, lei mi odierà per sempre.» Parlai con un filo di voce, quasi mi impietosii per me stesso. Pansy, però, mi strattonò leggermente, liberandosi dalla mia presa.
«dannazione, era suo padre!» La sua voce divenne più alta e io mi ritrovai a conficcare le unghia nella carne. Pensava che non lo sapessi? Pensava che non mi fossi torturato abbastanza? «dille la verità, dille che Lucius ha ucciso suo padre.» Lo aveva detto esplicitamente per ferirmi, lo sapevo. Nonostante ciò, non reagii.
«fallo, Draco, o lo farò io.» Aveva uscito artigli e denti e li stava sfoggiando come se fossi io il cattivo in tutta quella situazione. Eppure, non sentii niente. Non un minimo di fastidio, di rancore, di dolore. Niente di niente. Era come se avessi innalzato un muro e le sue parole non mi toccassero minimamente. «fa come credi.» Dissi, tranquillamente. Poi andai in dormitorio, lasciandola senza parole e con la bocca schiusa.

Il coraggio di amarti || Draco MalfoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora