8- L'incontro.

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HOPE

Seguii il consiglio di David, ci sedemmo tutti al tavolo sette, aspettando un suo ritorno. Il mio sesto senso non mi dava pace, ero sicura che sarebbe successo qualcosa, dovevo solo capire se fosse una cosa buona o cattiva. Si fece attendere un bel po' prima di fare la sua comparsa da dietro al bancone. <<Scusatemi ma il lavoro purtroppo mi chiama, allora posso portarvi qualcosa?>>, io volevo spiegazioni, non di certo mangiare. <<Allora Dav cos'è cambiato?>>, si guardò intorno come se ci fosse qualcuno che lo osservi, poi si sedette accanto a me. <<Beh per prima cosa il nome del locale, seconda cosa il proprietario del locale, e terza cosa non siamo più una discoteca o almeno non solo, da circa sette anni abbiamo iniziato ad aprire il locale a pranzo, come vedi mettendo dei tavolini in modo più decente? Si credo sia la parola adatta. E nulla abbiamo iniziato a servire pranzi, quindi ripeto la domanda, cosa volete mangiare?>>. <<Senti solo perché non voglio sentirti dire sempre la stessa cosa, fammi un French Dip Sandwich>>, mio padre non era famoso per avere pazienza. <<Oh vai sul classico Philip, bene, per te cosa porto?>>, chiese indicando con la penna Josh, sembrava non ricorda niente di lui. Ma ero sicura che c'era quando venivo con lui, quindi non riuscivo a capire. <<Per me Avocado Toast grazie>>, <<bene e per te dolcezza cosa porto?>>, chiese guardandomi ammiccando un sorriso che non sfuggì ai raggi x di mio padre, da lì a poco l'avrebbe ucciso, probabilmente. Ero adulta e vaccinata, sposata addirittura e mio padre faceva ancora il geloso. <<Per me una Cobb Salad>>, dopo aver segnato i piatti, scomparì un'ulteriore volta. Guardai mio padre e quando i nostri occhi si incrociarono, capii che era preoccupato anche lui per qualcosa, probabilmente il mio sesto senso e il suo istinto erano in qualche modo collegati. <<Ha detto che il proprietario è cambiato, mi chiedo chi sia adesso>>, Josh si guardò intorno mentre i suoi pensieri prendevano vita, una voce proprio alle nostre spalle, ci diede la risposta. <<Sono io il proprietario, ci sono problemi con il cameriere?>>, mi voltai e incontrai due occhi di ghiaccio, vestiti da un abito elegante quasi adatto a un uomo d'affari. Alto, moro e muscoloso, una barba leggera gli contornava il volto a dir poco perfetto. Ma ciò che mi colpivano di più, erano quegli occhi ghiaccio, così simili ai suoi... E se fosse lui? No, non era una cosa possibile.

 <<Salve, nessun problema anzi è molto gentile il cameriere, piacere Philip, lei è..?>>, mi voltai per guardare Josh che aveva il viso pallido, oh no. Ti prego fa che non sia realmente lui. <<È Damon, quel Damon>>, sussurrò Josh a dir poco scioccato. Mio padre lo guardò e per la prima volta anche nel suo sguardo qualcosa vacillò, ed io stentavo a crederci che avevo Damon a meno di un metro da me. <<Esatto Josh, vedo che ricordi il mio nome>>, Damon lo guardò con superficialità, come se fosse un qualunque essere inferiore. Fu in quel momento che ricordai il vero motivo per cui eravamo qui, e sentii una rabbia montarmi addosso. Mi alzai di scatto, in preda all'istinto e lo fronteggiai, non avevo paura di lui, nemmeno adesso che era un boss al quanto pericoloso e famoso da queste parti. <<Dimmi cos'hai fatto alla mia migliore amica altrimenti giuro che ti ammazzo>>, Damon mi guardò esattamente come aveva fatto poco fa con Josh, poi un piccolo sorriso gli contornò il labbro. <<E tu vorresti ammazzare il capo di Los Angeles? Sei peggio di una ragazzina>>, <<per tua informazione l'adolescenza l'ho superata da un bel po' di tempo, e ti ripeto che voglio sapere cos'hai fatto ad Elisabeth, brutto bastardo californiano>>. <<Sbaglio o sei californiana anche tu? Sai vivere in Italia non cambia le tue origini, comunque non vedo il motivo per cui dovrei rispondere alla tua domanda>>, era snervante il suo sentirsi superiore al mondo, e poi cosa ne sapeva lui? Non si ricordava di me, e addirittura sapeva che vivevo in Italia. <<Bene allora vorrà dire che passerò alle maniere forti>>, non terminai neanche la frase, che gli sferrai un calcio dove non gli batteva il sole, o almeno volevo farlo. Volevo perché, i suoi riflessi avevano catturato la gamba appena erano entrati in allerta. La sua mano destra era stretta al mio polpaccio destro, stavo per cadere e perdere l'equilibrio ma Damon, mi afferrò solo per avvicinarsi al mio orecchio. <<Non ti conviene giocare con me, non ho mai perso una partita e ti avviso mora da quattro soldi, non giocherò con maniere più gentili solo perché sei una donna, onestamente me ne fotto>>, sussurrò prima di lasciare la presa e farmi cadere con il culo a terra. Mio padre si avvicinò, aiutò me ad alzarmi e fronteggiò anche lui Damon, con molta più furia. <<Allora cerchiamo di essere chiari, prima cosa nessuno ti ha dato il diritto di toccare mia figlia, fallo di nuovo e giuro che metto in pratica ciò che non sono riuscito a insegnarti, contro di te. Seconda cosa, è un'amica preoccupata e non c'entra un cazzo in questa storia quindi prenditela con il vero colpevole. 

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