33- Abbraccio di famiglia.

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DAMON

Ero riuscito a sfuggire all'impertinenza di Hope, e per lasciarle spazio con suo fratello, dopo aver tolto ogni traccia di quello che era successo, decisi di andare da Elisabeth e dai bambini per capire come stesse andando la situazione. Non immaginavo di ascoltare un discorso fatto da due ragazzini, così profondo e maturo, li aveva cresciuti bene. Dovevo ammettere che quel bastardo era stato bravo con i miei figli, nonostante tutto, li aveva cresciuti lui e aveva aiutato Hope nel farlo. Quella donna era riuscita a crescere ben due figli da sola, per i primi due anni, eppure da quel che mi risultava, aveva già fatto un buon lavoro. Entrambi pendevano dalle sue labbra, come dargli torto, era la stessa cosa che facevo io, anche a distanza di anni. Il mio più grande rimpianto era che anni prima, non ero riuscito a cacciare il coraggio di correre da lei, subito dopo aver recuperato la memoria persa, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente, probabilmente ad oggi i miei figli li avrei cresciuti io e mi avrebbero amato, anziché odiato. Non potevo biasimarli, non mi conoscevano ed era già tanto che Abel avesse questa voglia di conoscermi, era un enorme passo avanti. Per quanto riguardava Arthur, ci voleva sicuramente più tempo, era legato ad Alessio, incredibilmente Marcus sembrava quasi una brava persona, era riuscito ad ingannare alla perfezione tutti, ci era quasi riuscito anche con me, ma il piccolo passo falso era stato cruciale per lui e a me, fortunatamente, non sfuggiva niente. <<Zia, quando possiamo conoscerlo?>>, al contrario delle mie aspettative, fu Arthur a chiederlo a Beth, che per poco non si mise a piangere. <<Anche adesso se volete>>, risposi aprendo un po' la porta, così che potessero vedermi. Elisabeth fu la prima che mi guardò, mi sorrise commossa e si alzò, senza aggiungere altro andò via portando la mini-Hope con sé, che stava beatamente dormendo tra le sue braccia, lasciandomi solo con i miei figli nella stanza. <<Allora, da uomo a ragazzi, cosa volete sapere? Sono a vostra disposizione, purché non duri qualche ora>>, ero riuscito a strappare un risolino ad entrambi, era un buon inizio, no? Eppure, sentivo un'agitazione strana farsi spazio in me, io che non mi facevo mai prendere dal panico, neanche quando mi puntavano una pistola contro, adesso avevo paura di due ragazzini. Che strana era la vita, delle volte le cose più banali erano quelle che ti facevano più paura. 

<<Bene inizio io con le domande, come vi siete conosciuti tu e la mamma?>>, be' era una domanda lecita e piuttosto soft da rispondere, iniziavamo bene. <<Bella domanda, allora in realtà io conoscevo vostra mamma già da un po' di tempo ma lei no. Ufficialmente ci siamo conosciuti il primo gennaio di undici anni fa, quando il mio migliore amico di allora, Josh, mi propose di uscire con la sua ragazza e la migliore amica di lei, quel giorno gareggiai con la mia moto e vinsi, come sempre>>, Arthur e Abel rimasero a bocca aperta, era troppo parlare di gare clandestine con degli undicenni? Eppure, alla loro età, io sapevo questo ed altro, non mi intimidiva ne scioccava niente. <<Tu gareggiavi con la moto, oddio! Voglio farlo anche io, adoro le moto! Qual era la tua?>>, mio figlio Abel era entusiasta, felice. Gli piacevano i motori, proprio come me, e voleva gareggiare... Forse eravamo più simili di quanto potessi immaginare. <<Abel, non dire stupidaggini, sei piccolo! Vuoi morire per caso?>>, ribatté furioso Arthur, erano due poli opposti, ormai l'avevo capito. <<Tranquillo Arthur, non si muore per una gara, ma non gareggerai>>, <<ma come no, tu lo facevi>>, piagnucolò quel ragazzino che mi guardava con il broncio. <<Non gareggerai fin quando non avrai imparato come si fa, e poi io partecipavo alle gare clandestine, tu se proprio vuoi farlo, verrai seguito e gareggerai in modo corretto>>, il sorriso si fece spazio immediatamente sul suo viso, mentre Arthur rimase impassibile. A questo punto, avevo acquisito un po' della loro fiducia, quindi mi feci spazio e mi sedetti tra loro sul lettino improvvisamente troppo piccolo. <<Ok prossima domanda, perché non sei mai venuto da noi? Ci odiavi anche se non ci conoscevi?>>, un po' mi ferì il tono con cui Arthur mi aveva posto quella domanda, un po' lo comprendevo, perché ero passato dal dolore di perdere un'intera famiglia, al dolore di sapere che in realtà erano tutti vivi ma avevano scelto di lasciarmi solo, anche se le cose erano più profonde di così.

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