HOPE
Aspettai. Aspettai ore ed ore fuori a quella porta, incerta di come sarebbe andata a finire questa storia. Stentavo a credere che fosse proprio mio padre, l'uomo che era rimasto ferito in una storia che non gli apparteneva affatto. Voleva solo proteggermi, da quei mali visibili e invisibili solo come un genitore poteva fare, io lo capivo bene adesso, eppure certi mali non potevano essere previsti o sconfitti, senza prima lottare fino alla fine. E mio padre avrebbe lottato, ne ero sicura, non era il tipo d'uomo che si arrendeva. Ciononostante, non riuscivo ad essere tranquilla, ormai era un uomo di una certa età e non era un graffio. Era un proiettile, conficcato nel suo addome, era una pugnalata dritta al mio cuore, che non poteva crederci. Avevo incontrato Philip per caso, dopo che Robin stesso mi sparò e finii in coma. A pensarci, in effetti dovrei ringraziarlo per quella pallottola, grazie a lui, avevo scoperto una verità che, per quanto sia stata amara, era pur sempre la mia verità e con essa, avevo scoperto Philip. L'uomo che poteva sembrare scontroso, duro ma che nascondeva un cuore d'oro, l'uomo che si prese cura di me da subito, appena le cose furono chiare per entrambi e insieme a lui, quella verità faceva meno male. Mi aveva cresciuta negli ultimi anni da solo, ero ancora una ragazzina quando scappai in Italia, e mi fu di grande aiuto. Un uomo che non conoscevo mi aveva seguita senza esitazione, lasciando ogni cosa, compreso il suo ruolo nei Black Angels, tutto questo per una figlia che non aveva ancora conosciuto a pieno. Nemmeno mia madre aveva questo affetto nei miei confronti, beh adesso aveva senso del perché ma prima era doloroso sapere che a quella donna, non importasse niente di me. Avevo perso i rapporti con mia madre dal momento in cui decisi di partire con mio padre per l'Italia, ma ero sicura che a quella donna, non importasse davvero. <<Voi siete i familiari del signor Philip Johnson?>>, chiese un dottore che era appena uscito dalla sala operatoria, dio fa che sia una buona notizia. Mio padre aveva il cognome diverso dal mio o, meglio, io avevo il cognome diverso, questo perché i miei genitori mi misero Moore, per non destare sospetti. <<Sono sua figlia>>, dissi alzandomi dalla poltrona se così la potevo definire, sulla quale avevo passato le ultime due ore, le restanti ero troppo inquieta per stare ferma e le avevo passate girovagando per la sala d'attesa dedicata ai parenti.
<<Buonasera signora, suo padre aveva una ferita d'arma da fuoco piuttosto grave all'addome. L'abbiamo operato con urgenza e abbiamo riscontrato delle difficoltà ma fortunatamente siamo riusciti a contenere l'emorragia e non ha perso troppo sangue. L'unico problema è che essendo un signore adulto, e oltretutto malato, abbiamo convenuto di lasciarlo dormire per qualche ora, per aiutarlo a superare...>>. Avevo smesso di seguire il discorso del medico, quando mi aveva detto che era malato. Come poteva essere malato se stava bene? Guardai il dottore e gli chiesi un attimo per darmi il tempo necessario di metabolizzare ciò che stava accadendo, ciò che avevo sentito. <<Mi scusi dottore, credo di non aver capito bene, mio padre è malato?>>, il solo pensiero mi fece gelare il sangue nelle vene, tutto era ovattato attorno a me, sentivo a malapena il medico. <<Sì, pensavo ne fosse a conoscenza visto lo stato in cui si trova. Vede suo padre ha un glioblastoma>>, ero entrata ufficialmente nel panico. Non sapevo nemmeno cosa cavolo fosse. <<Mi scusi dottor Garcia>>, lessi sul beige che portava al collo, <<non ho studiato medicina; quindi, può parlare come un comune mortale?>>, Damon era rimasto in disparte fino a quel momento, si alzò immediatamente e mi venne incontro. Si fermò dietro di me, poggiando una mano sulla schiena, non lo guardai ma sapevo che era venuto per sostenermi. <<Ha ragione mi scuso, mi viene spontaneo dirlo in termini medici. Voglio dire che suo padre ha un tumore maligno al cervello, purtroppo è un tipo di tumore che si manifesta spesso superati i cinquant'anni. Onestamente mi sorprendo di come non ve ne siate accorti, non ha mai sofferto di vertigini, vomito, mal di testa?>>, non riuscivo a parlare, mi ero paralizzata e non potevo capire come potesse dire una cosa del genere a sua figlia, con tanta calma e spensieratezza. Riuscivo a sentire il corpo abbandonare la mente, non volevo e non potevo crederci. Tutto questo non era vero, per forza. <<Lui lo sapeva signora, nel databaize, c'era tutta l'informativa, ha fatto anche le chemio>>, continuò il dottore, non sapevo che dire. Mi tornavano alla mente i ricordi di questi ultimi mesi e non mi capacitavo di come non mi fossi accorta di niente.
<<Mio suocero lo sapeva è vero, ha iniziato ad avvertire i sintomi circa un mese e mezzo fa, l'hanno operato subito, ma ha preferito tener fuori sua figlia, non voleva recarle dolore>>, Damon diede una risposta al mio posto, che mi fece crollare il mondo addosso. Lo sapeva anche lui, eppure non mi aveva detto niente. Lo sapeva lui che per anni era stato assente e non lo sapevo io che ero sua figlia. Quando ne avevano parlato poi? <<Tu sapevi tutto e non hai pensato di dirmelo, Damon?>>, dissi con voce rauca, sarei scoppiata a piangere sicuramente a breve. A quel punto il dottor Garcia decise che era il momento di lasciarci soli, così in silenzio andò probabilmente da mio padre o un altro suo paziente, mentre io mi voltai per guardare Damon negli occhi, sembrava... Triste. <<Ascolta non era mio dovere dirtelo, in più l'ho saputo solo poche ore fa anche io, mentre stavamo venendo da te, mi ha fatto un discorso e mi ha spiegato la sua situazione, voleva solo proteggerti, te l'avrebbe detto>>, no, non l'avrebbe fatto. Lo conoscevo bene, sapevo che l'avrebbe detto solo quando gli sarebbero rimasti gli ultimi giorni da vivere. <<Non posso crederci! Mio padre ha un tumore che potrebbe ammazzarlo e tu lo porti comunque con te? Dovevi lasciarlo a casa, adesso ha ancora più probabilità di morire ed è anche colpa tua!>>, non avrei dovuto dargli la colpa, ma ero così scombussolata che non ci avevo pensato due volte. Ero stata rude con lui, soprattutto perché teneva a Philip tanto quanto me, e sapevo che questo feriva anche lui. Eppure, per qualche motivo a me sconosciuto, avevo bisogno di incolpare qualcuno. Incolpavo Damon per averlo portato con sé, incolpavo Marcus per averlo sparato, incolpavo mia madre per avermi negato l'opportunità di passare ogni singolo giorno dalla mia nascita ad oggi, con lui. Incolpavo me stessa perché l'avevo esposto a un pericolo del genere, senza volerlo, ma l'avevo fatto.
<<Sì, forse hai ragione. Forse dovevo lasciare un uomo malato, a 60km di distanza da casa, da solo, in una strada isolata. Così magari se si fosse sentito male, sarebbe morto solo come un cane. È questo che volevi?>>, no, certo che no. Ero stata stupida, ma la verità era che la morte mi faceva davvero paura, anche se non avevo paura della morte stessa. Non avevo mai avuto paura di morire, ma veder morire un mio parente, un mio caro amico, di quello sì che avevo paura. E adesso quella paura era più vivida che mai. <<Perdonami, non volevo dirlo e non è colpa tua. Ho paura Damon>>, fu solo in quel momento che mi permisi di piangere. Diedi libero sfogo alle mie paure, alla mia preoccupazione, alla mia tristezza al solo pensiero che avrei potuto perdere mio padre per sempre. Mi accasciai sulle ginocchia, i singhiozzi non cessavano, un fiume di lacrime correva sul mio viso e non avevo la forza di rialzarmi. Sentii un palmo caldo posarsi sulla schiena, due gambe molto più lunghe delle mie, si abbassarono al mio livello per guardarmi negli occhi. Il mascara era sicuramente colato, dovevo somigliare ad un panda, ma non aveva importanza, niente aveva più importanza. Mio padre stava morendo ed io non ero pronta a dirgli addio. Non ero pronta a non vederlo più giocare con Abel a calcio o a basket con Arthur. Non ero pronta a non vederlo mettersi in ridicolo, permettendo alla piccola Alice di truccargli il viso. Non ero pronta a dirlo ai miei figli, semplicemente non ero pronta ad affrontare un altro terribile dolore. <<Ci sono io con te, affronteremo insieme questa cosa. Hope guardami>>, disse l'uomo che mi afferrò il mento tra le dita, feci ciò che mi aveva chiesto e mi scontrai con quell'oceano in tempesta che cercava in tutti i modi di avvolgermi. <<Ci sono io con te>>, si fece eco, <<non avere paura, sarò pronto a sostenerti>>, l'apprezzavo davvero tanto. Perché senza Damon, non l'avrei affrontata questa cosa, sarei scappata ancora una volta come una codarda. Perché non sapevo farlo, non avevo mai avuto il coraggio per affrontare le situazioni complicate. E avevo bisogno di quell'uomo grande e grosso, tenebroso e temuto, per andare avanti.
<<Ti amo Hope Johnson, da quando hai posato i tuoi occhi dolci nei miei occhi tormentati>>, mi aveva chiamata con il mio vero cognome, nessuno l'aveva mai fatto, nemmeno Philip stesso. Prima che potessi farglielo notare rispose come se stesse ascoltando i miei pensieri, <<è questo il tuo cognome, tuo padre è sempre stato lui. È ora di utilizzarlo Hope>>, disse prima di aiutarmi a rimettermi in sesto, per poi darmi un bacio tra i capelli. Ti amo anch'io Damon, ma non lo sentirai adesso, non era arrivato ancora il momento di farlo.
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All is lost.🌚
RomanceSEQUEL DI "NOTHING IS LOST".🌻 Hope ha deciso di cambiare vita nel momento in cui ha scoperto di essere in dolce attesa mentre, il suo grande amore, non aveva alcun ricordo di lei. Si è trasferita in Italia, ha cresciuto i suoi figli come meglio pot...