42- Preparativi.

29 5 2
                                    

DAMON

Le cose stavano andando... bene, fin troppo bene. Eravamo nella nostra nuova casa, nella nuova città ed eravamo vicino al mare, a un passo da quelle onde che spesso sembravano volersi ribellare, come se fossero in trappola, e la loro trappola erano quegli scogli che sembravano saper domare le onde. Mancava solo una cosa per rendere il tutto davvero perfetto, una proposta, la proposta, di matrimonio ad Hope. Non volevo aspettare un solo minuto in più, avevo la più assoluta certezza che era lei la donna che volevo per l'eternità al mio fianco, perché aveva il mio cuore nelle sue mani e sapevo che non l'avrebbe fatto cadere, questa volta l'avrebbe protetto con le unghie e con i denti, ed io lo sapevo che l'avrebbe fatto, l'avevo capito dal suo sguardo, dai suoi occhi tanto dolci quanto espressivi, che mi avevano detto almeno in cinquecentomila lingue diverse, quanto mi amassero. Philip era d'accordo con me, aveva già l'anello che personalmente avevo scelto ed acquistato, ma per non rovinare la sorpresa, l'avevo affidato all'unico uomo a cui avrei affidato la mia stessa vita. Dovevo solo scegliere il luogo più adatto, volevo che fosse speciale ma allo stesso tempo semplice ed emozionante, anche con il rischio di emozionarmi. Dovevo parlarne con i bambini prima di fare questo passo enorme, dovevo assicurarmi che non avrei recato problemi a loro. Con una scusa alquanto banale, Philip aveva allontanato sua figlia da casa, dandomi il tempo necessario per parlarne con i bambini e nel caso in cui andasse tutto bene, di allestire la casa. Philip doveva fare dei controlli, era passata una settimana dalla nostra partenza e il medico di Los Angeles gli aveva detto di recarsi dal dottor Ruggiero, dicendo che l'avrebbe assistito lui a Napoli, così Hope non poteva di certo rifiutarsi di accompagnare suo padre all'ospedale dove avrebbe fatto la visita, un piano perfetto ma ciò che mi preoccupava davvero erano le opinioni di quei tre mostriciattoli. Andai nella stanza dei bambini e richiamai la loro attenzione, mi sedetti sul letto di Alice così che avessi i gemelli difronte, la presi in braccio e si sedette sulle mie gambe. Ero grande e grosso, ma quando si trattava di bambini ero impacciato e non sapevo come pormi, così feci prima di tutto un bel respiro, poi iniziai il mio breve discorso, perché francamente non sapevo cos'altro dire.

 <<Allora ragazzi, avrei una domanda da farvi, però dovete rispondere in modo del tutto sincero. Mi volete bene?>>, quella semplice domanda non era per niente scontata, magari mi tolleravano perché sapevano che tra me ed Hope c'era del tenero, non si poteva mai sapere cosa frullasse nella testa di un bambino, figuriamoci di tre. <<Certo che sì papà>>, la prima a rispondere fu la piccolina che si strinse tra le mie braccia, era così tenera e così dannatamente simile alla madre. <<Sì che ti vogliamo bene>>, rispose Abel, il che era un male perché l'unico che non aveva espresso opinione era proprio Arthur, quello che probabilmente mi odiava, anche se stavo iniziando a recuperare il rapporto padre-figlio. <<E tu Arthur?>>, chiesi guardandolo, lui guardò suo fratello alla sua destra come se cercasse la risposta giusta, <<non c'è una risposta sbagliata né una giusta Arthur, devi solo rispondere in base a quello che senti nel cuore>>, mi guardò e annuii come per dirmi che lo sapeva, ma aveva comunque bisogno di pensarci e questo un po' mi preoccupava. <<Non lo so, io credo di sì ma è più un istinto, non so se voglio volerti bene>>, quel ragazzino sapeva fare certi discorsi che non erano per niente adatti alla sua tenera età. <<È tutto ok, la tua è una risposta molto sensata>>, non sapevo cosa rispondere, non sapevo affrontare la verità di un ragazzino di undici anni, la verità di mio figlio. <<Perché questa domanda all'improvviso? Vuoi andare via di nuovo e lasciarci soli con la mamma e il nonno?>>, la domanda che mi porse poco dopo, era la risposta nascosta dietro la risposta di prima, la sua era paura che potesse accadere di nuovo, paura che potessi sparire così, da un momento all'altro. <<Venite qui, entrambi>>, li invitai a sedersi accanto a me sul letto di Alice, un po' titubante Arthur fece come gli dissi, seguito da suo fratello che invece non aveva avuto esitazione. <<Non voglio e non vorrò andare da nessuna parte che non sia con voi Arthur, io vi ho chiesto questa cosa non perché avessi intenzione di andar via, ma perché vorrei sposare vostra madre, solo se voi siete d'accordo e se mi accettate per quel che sono, vostro padre>>, ci fu un attimo di silenzio, di riflessione, prima che la piccola si rotolasse tra le mie braccia e mi stringesse le guance, rendendomi ridicolo. 

<<Davvero? Che bello, la mamma diventerà una principessa e tu sarai il suo principe!>>, be' almeno una era d'accordo, anzi era emozionata alla sola idea. <<Sì mini-Hope, se la mamma vuole sarò il suo principe>>, Arthur si intromise nel discorso mentre Alice mi lasciò finalmente andare le guance, solo per abbracciarmi e quasi strozzarmi con quelle fragili braccia. <<Non se ne parla neanche, sono io il principe della mamma>>, <<al massimo lo sono io>>, rispose di conseguenza Abel, bene avevo già rivali al di fuori della famiglia, adesso li avevo anche all'interno. Per porre fine al dibattito e dare pace ai miei timpani, decisi di intromettermi, <<ok ragazzi, siamo tutti i principi della mamma, va bene?>>. Annuirono, avevamo trovato un compromesso funzionale, <<quindi voi due siete d'accordo per il matrimonio e quello che ne comporta?>>, chiesi perché non stavo capendo niente e avevo bisogno di risposte più che chiare. <<Più d'accordo di così si muore>>, rispose con un certo entusiasmo Abel, <<si può fare>>, rispose invece il suo gemello, be' meglio di ciò che avevo previsto. <<Perfetto, abbiamo del lavoro da fare, farò la proposta di matrimonio stasera, dobbiamo iniziare ad addobbare la casa, mi date una mano?>>, esclamarono tutti all'unisono un "" pieno di grinta, avevo superato anche questa. Per sicurezza e per avere un effettivo aiuto, chiamai Thomas ed Elisabeth che mi raggiunsero poco dopo. <<Qualcuno ha detto addobbi?>>, urlò quella pazza di Beth, entrando in casa. <<Thomas, sei ancora sicuro di volerla sopportare a lungo? Sai sono bravo a far sparire cadaveri, una pazza in meno non farà differenza>>, urlai ironico per farmi sentire da Thomas intento a salutare i suoi nipotini che stravedevano per lui e inspiegabilmente anche per la sua ragazza, Elisabeth d'altro canto mi guardò non male, peggio e mi mandò dritto a quel paese, con la sua insolita eleganza. <<Purtroppo per te ne sono abbastanza sicuro Damon, ma tranquillo ti terrò in considerazione qualora cambiassi idea>>, dovevo ammettere che prenderla in giro era veramente bello, soprattutto perché se la prendeva per tutto e per niente, e si arrabbiava assomigliando ad un chihuahua, avete presente quei cagnolini minuscoli ma che si arrabbiano facilmente e diventato delle bestie insatanate? Ecco, era la perfetta rappresentazione di Elisabeth Brown, ma lei ovviamente non doveva mai saperlo.

 <<Siete due, voi sapete cosa>>, non l'aveva detto esplicitamente poiché c'era Alice nelle vicinanze e voleva tenerla in una specie di bolla dove le parolacce non sarebbero mai esistite, come se tra qualche anno non le avrebbe conosciute a prescindere. <<Bene, sorvolando i saluti, da dove iniziamo? Non so neanche usarlo questo aggeggio>>, avevo una sottospecie di pompa per gonfiare i palloncini tra le mani, ma non capivo perché non si gonfiassero, insomma io non stavo facendo niente di errato, almeno ne ero convinto. <<Damon mio caro, sbagli il verso, come vuoi che si gonfino i palloncini se non metti la pipetta all'interno del palloncino?>>, non sapevo nemmeno che portasse una pipetta questo coso. Dovrebbero fare delle cose molto più semplici da utilizzare in casi come questi, non si può perdere del tempo prezioso per queste stronzate. <<Non avevo capito che servisse quel cosino, va bene non sono capace. Thomas perché non gonfi tu i palloncini con Elisabeth? Io appendo lo striscione>>, di tutta risposta mio cognato si avvicinò, solo per dirmi, <<hai una bocca, dei polmoni e tanta aria. Se non sai utilizzare l'aggeggio apposito, utilizza il vecchio metodo, gonfiali tu con il tuo fiato>>, avrei voluto mandarlo a quel paese ma, prendendo esempio dalla sua ragazza, avevo preferito di non farlo, almeno non davanti alla bambina. <<Grazie tante, il tuo aiuto è sempre indispensabile, ma non la scampi liscia. Ci aiuterai anche tu a gonfiare questi benedetti palloncini, preparatevi ragazzi perché sono almeno cinquecento palloncini a forma di cuore rosso e almeno duecento di palloncini a girasole>>, mi guardarono come se fossi un fantasma, infondo avevano scelto loro di aiutarmi, io non li avevo mica obbligati. <<Tu sei fuori di testa>>, <<sì ha decisamente perso quel po' di cervello che gli restava>>, gli fece eco Elisabeth, gentile come sempre.

All is lost.🌚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora