1- Il caso irrisolto.

60 7 0
                                    

HOPE

Erano le quattro del mattino e non riuscivo a dormire, fuori il cielo sembrava voler distruggere ogni cosa. Il freddo di novembre iniziava a farsi sentire, come il bisogno di un buon tè caldo, nella speranza che almeno quello, potesse tranquillizzarmi. Non riuscivo a dormire, ero sola a letto e sentivo del vuoto avvolgermi, raffreddandomi. Alessio era sveglio dalle due di notte, l'avevo sentito parlare al telefono e alzarsi dal letto, un'altra chiamata di lavoro, che, a quanto pare, non aveva orari. Non dissi niente, ma ero irrequieta, non riuscivo più a dormire da sola in un letto troppo grande per una singola persona, così decisi di alzarmi. Presi la camicia da notte, indossai le ciabatte e andai nel suo studio, certa di trovarlo lì a lavorare sul suo computer. Quando entrai non c'era nessuno, sentii dei rumori in cucina e andai a controllare, per fortuna era lui. Probabilmente stava preparando il caffè, ogni giorno me lo portava a letto, accompagnato da qualche biscotto e qualche coccola. Alessio era l'uomo che non pensavo potesse piacermi, era calmo anche durante le discussioni, era gentile e premuroso. Amava e non faceva niente per nasconderlo, amava e basta. Ed io amavo lui, per essere così paziente, da aver aspettato anni prima che gli concedessi il mio cuore. Quello che non avevo detto sulla nostra storia, era che incontrai Alessio dopo due anni dal mio trasferimento a Milano, fin da subito iniziò a corteggiarmi, a volermi vedere ogni giorno. Io non volevo saperne niente, gli ripetevo che per me c'era stata l'opportunità di amare qualcuno, e che così come mi era stata data, mi era stata tolta. Non si arrese, continuò ogni giorno a portarmi la colazione sul luogo di lavoro, fortuna che il mio capo era suo fratello e glielo permetteva senza problemi. Continuò a regalarmi rose rosse, fin quando non gli dissi che preferivo i girasoli, così iniziò a portare quest'ultimi. Ottenne anche il mio numero, mi mandava messaggi a cui rispondevo con freddezza, mi telefonava per dirmi semplicemente "so che non vuoi parlarmi, ma voglio vederti", il più delle volte successivamente, mi chiedeva di scendere. Non seppi mai come scoprì il mio indirizzo, fatto sta che me lo ritrovai sotto casa, con dei cioccolatini e dei libri, sì dei libri.

 Avevo smesso di leggere ma soprattutto avevo smesso di scrivere ciò che mi passava per la testa, gliel'avevo raccontato una volta, quando in seguito a un rifiuto per un invito a cena, venne a casa mia con del cibo d'asporto e decisi di concedermi una serata diversa. Parlammo tanto, e gli raccontai una breve parte della mia storia con lui, di come anche solo un libro, riportava la mia mente a quella persona, a quel nome. Ammisi a me stessa, prima che ad Alessio, di aver smesso di leggere, poiché con la fine della mia storia, le altre non sembravano le stesse. Mi sembrava tutta finzione, un modo per illudere le persone che esiste l'amore eterno, ma il mio non lo era stato. Nelle sere successive, iniziai a lasciarmi andare un po' di più, e mi promise che avrebbe letto un libro, anche banale, per me. Che mi avrebbe fatto cambiare idea, che in qualche modo, avrebbe fatto rinascere la speranza in me. Lo fece davvero, leggere un libro intendo, per me. Non ne aveva mai letto uno, eppure per me aveva iniziato a farlo. Quella sera in cui portò i cioccolatini e i libri, ricordo che era sera tardi, i bambini dormivano e la prima cosa che mi disse fu: "pronta a ritornare a credere al lieto fine?", non risposi. Sicuramente non ero pronta, ma annuii poiché ero curiosa di vedere fin dove si fosse spinto. Ci sedemmo a terra, era estate e faceva caldo, ma sul pavimento si stava freschi. Mettemmo dei cuscini a terra, dove si posizionò sopra, e poi appoggiai la testa sulle sue gambe incrociate, mi stesi e iniziò a leggere il libro che mi teneva nascosto dal suo inaspettato arrivo. Era la favola della Sirenetta, mi era sfuggito una sola volta, parlando dei miei figli, non pensavo che se ne ricordasse. Iniziò a leggere mentre con una mano mi accarezzava i capelli, era un tocco leggero, quasi impercettibile e il suo profumo di biscotti e cocco, mi cullò come se fosse una ninna nanna. Non finii di ascoltare la sua voce gentile, sottile e aggraziata, terminare il racconto. Mi addormentai, e il giorno dopo mi svegliai sul divano, con Alessio seduto al mio fianco, sul pavimento. 

Passò la notte lì, pensai fosse un pazzo. Prima di andare via, mi disse che mi ero agitata nel sonno, che dicevo parole sconnesse e non voleva lasciarmi sola con i bambini, mentre probabilmente stavo sognando qualcosa di orribile. Forse fu questo il gesto che mi convinse ad uscirci nei giorni successivi, forse avevo solo bisogno di una spinta che lui stesso mi aveva dato. I bambini erano piccoli, avevano appena due anni, e lui sapeva benissimo che, se voleva me, doveva volere anche i miei figli, era un pacchetto completo e non si era mai posto il problema, anzi. Delle volte mi aiutava con i pannolini, a preparare i biberon prima di uscire tutti insieme, delle volte giocava con loro e loro sembravano adorarlo. Eravamo proprio come una famiglia, anche se non era facile conciliare bambini e relazione con un uomo a loro sconosciuto. Alessio aveva quattro anni in più, l'avevo conosciuto quando ne avevo ventuno e lui venticinque, attualmente ne avevo trenta e lui trentaquattro, ma non rappresentava un problema, anzi forse era stato il nostro punto d'incontro. <<Tesoro sei ancora sveglio?>>. Entrai in cucina stando attenta a non far rumore, i bambini dormivano e non volevo svegliarli prima dell'orario scolastico, <<sì, ho delle pratiche da sbrigare>>. Era sempre così riservato sul suo lavoro, che spesso non rivolgevo le domande che avrei voluto fare. <<Non puoi sbrigarle domattina? È tardi e sei sicuramente stanco, vai a riposare, insomma è venerdì, hai anche sabato a disposizione>>. <<Credi che non so quanto tempo mi resta per risolvere queste pratiche? Mi ha chiamato Tommy stanotte, è sorto un problema>>, Tommy era un suo collega, era il suo braccio destro e lo aiutava in ogni caso, letteralmente. <<Che tipo di problema?>>. <<Salvatore Pellegrini, l'uomo di quarantacinque anni che sto cercando di far marcire in carcere, in quanto ci sono delle accuse abbastanza gravi, a quanto pare, è sparito>>. Mio marito era un avvocato penalista, il che vuol dire che era esposto costantemente a dei pericoli, dei seri pericoli. Essenzialmente consiste nell'occuparsi di reati generali, come ad esempio di un furto, di un omicidio, di concussione e tanto altro. Ma consiste anche nell'occuparsi di violenze fra cui, anche il reato di cyberbullismo. Stava seguendo questo caso da un po' di mesi, quest'uomo era accusato di omicidio volontario, aveva accoltellato sua moglie ben ventidue volte. Era riuscito ad ottenere una riduzione di ben dieci anni della pena, in quanto per la corte non era stato gesto di crudeltà, assurdo eppure era vero, l'aveva ottenuta. La cosa grave era che in mancanza di un testimone, poteva anche ottenere la libertà vigilata. Alessio si stava davvero dando da fare per questo caso, non voleva un assassino in libertà e non dormiva la notte, per ottenere ulteriori prove e incastrarlo. 

<<Dove può mai arrivare un uomo ricercato? Tutti conoscono il suo volto, è un assassino!>>, <<non lo so Hope, c'è qualcosa che ci sfugge ma ne verremo a capo, farò di tutto per farlo condannare come merita>>. Era tremendamente serio, quasi intimoriva il suo tono rigido, ma era anche teso e non ne capivo il motivo. <<Va a dormire, tra poco dovrai preparare i bambini per la scuola>>, mi esortò mio marito con aria stanca e una tazzina di caffè sospesa a mezz'aria. <<Sai che non riesco a dormire senza di te>>, lo guardai facendo gli occhi dolci, mi avvicinai lentamente e lo baciai, le sue labbra sapevano di caffè. <<Ho capito, andiamo a dormire, altrimenti avrò la colpa di aver fatto uscire delle occhiaie sul tuo viso>>. Lo guardai storto, sapeva quanto per me fossero un problema le occhiaie e mi prendeva in giro ogni volta che ne aveva l'occasione. <<Stupido, vorresti dire che ho le occhiaie e sono brutta?>>, gli diedi uno schiaffo sul muscoloso braccio. <<Giammai, sei perfetta tesoro>>. Sapeva bene come pararsi il culo ogni volta, ma ridendo e scherzando, arrivammo nella nostra camera da letto, e come ogni notte, si stese al mio fianco, abbracciandomi. Sapeva che purtroppo, dalla mia storia passata, alcune paure non erano mai passate, come alcuni incubi. Così ogni notte, mi abbracciava, come se volesse proteggermi dal mostro sotto al letto, solo che il mostro viveva nella mia testa, nel mio sonno, nel mio subconscio.

All is lost.🌚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora