37- Una villa e una vita nuova.

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DAMON

Il passato potevi semplicemente accettarlo ed era quello che stavo iniziando a fare: accettare quel periodo buio della mia vita e andare avanti, perché mi aspettava una nuova vita e sicuramente sarebbe stata molto più che luminosa. Ero stato tanti uomini messi insieme, ero sempre e comunque un uomo rispettato, in ogni mia veste e non per forza perché ero in possesso di una pistola, avevo capito che un'arma non ti dava potere, ti rendeva schiavo di un sistema che purtroppo iniziava a insediarsi in ogni cosa così tanto che poi, quando volevi uscirne, era difficile farlo. Quel mondo era un circolo da cui non potevi fuggire, una volta entrato certo, ed io avevo fatto l'errore di entrarci una seconda volta, e a differenza della prima volta, non c'era Philip a togliermi dai guai in cui io stesso mi ero messo. La cosa che sapevo con estrema certezza era che ci avrei provato, l'avrei fatto per i miei figli e per impedire loro le sofferenze, le paure che comportava l'avere il padre in un giro del genere. Ero già alla ricerca di un vero lavoro, stavo prendendo una villa per la nostra famiglia, ma a differenza di ciò che pensava Hope, non la stavo cercando a Los Angeles, non l'avevo mai cercata qui in realtà. L'avevo cercata e trovata a Milano, non lontano dalla casa che aveva trovato invece Thomas, si c'eravamo messi d'accordo, dovevamo trasferirci tutti in Italia, perché Los Angeles non ci apparteneva più. Avevo programmato tutto, avevo già i biglietti pronti, avevo arredato la casa con l'aiuto di un vecchio amico che mi doveva un piacere, avevo curato tutto nei minimi dettagli, dovevamo solo salire sull'aereo e andare a casa nostra, quella casa degna di essere chiamata tale. Avevamo fatto delle piccole escursioni, gite, giri al parco giochi per Alice e tante, ma tante, partite di basket e calcio, per i miei piccoli uomini. La cosa più importante era che Philip Johnson stava bene, in perfetta forma in realtà, non sembrava un uomo malato e fortunatamente era idoneo per affrontare un viaggio di quattordici ore. 

Era molto geloso di sua figlia e della sua nipotina, diceva che erano le doppelganger di Samantha e in quanto tale, dovevano essere protette dai vampiri originali, probabilmente non stava poi così tanto bene con la testa. Era tutta colpa di Hope ovviamente, che insieme ad Alice, aveva guardato quelle puntate di vampiri, licantropi e chissà che altro, condizionando suo padre e condannando a morte me e ovviamente i gemelli. Insomma, tutto sommato potevo dire che avevamo una bella famiglia, soprattutto era finalmente una famiglia felice, senza dubbio più spensierata. Ero più che sicuro che l'avrei sposata, questa volta sarebbe stata mia e di nessun altro per l'eternità, dovevo solo organizzare la proposta di matrimonio, ma volevo farlo alcuni mesi dopo il trasferimento, quando saremo stati ancora più tranquilli e meno stressati di adesso. <<Cosa fai? Non mi ascolti?>>, la mia futura moglie stava preparando le valigie, convinta che sarebbe possibile portarle tutte in una sola volta, e si stava lamentando per qualcosa di cui lo ammettevo, non avevo capito niente. <<Scusa, stavo pensando che non potremmo portare via tutte queste valigie in una sola volta>>, <<e perché mai? Abbiamo due macchine enormi, certo che ce la facciamo>>, era arrivato il momento di rivelarle una piccola parte. <<No, questa volta non ce la facciamo piccola Hope, vedi in aereo non fanno salire cinquemila bagagli, se non di più>>, dovevamo portarci via solo i vestiti e le poche cose che avevamo comprato di tanto in tanto, eppure era riuscita a far uscire cose che non sapevo neanche di avere in casa. <<Che c'entra l'aereo? Cosa stai architettando?>>, mise le ultime cose che aveva tra le mani nella valigia, e decise che era arrivato il momento di darmi finalmente un briciolo della sua attenzione. Si sedette sul letto matrimoniale, accanto a me e mi guardò curiosa e allo stesso tempo quasi come se sapesse già cos'avevo in mente.

 <<Niente, è una piccola sorpresa, non preoccuparti. Devi solo decidere quali sono le valigie davvero necessarie e dobbiamo salire sull'aereo tra esattamente tre ore>>, aveva abbastanza tempo per decidere? Non si sapeva mai cosa potesse succedere con una donna sottopressione, che doveva prendere una decisione. <<Non puoi uscirtene così all'improvviso, soprattutto se poi dobbiamo anche prendere un volo tra sole tre ore>>, era troppo agitata quella donna quando veniva messa sotto pressione. Le diedi un leggero bacio sul naso, poi l'assicurai che avrebbe avuto abbastanza tempo per preparare i bambini e tutto quanto. <<Sì ma capisci che devo decidere solo una valigia a testa, una per Alice, una per Abel e un'altra per Arthur poi devo deciderne una per me e ovviamente una per te che non sai fare una valigia figuriamoci sceglierne una tra le cinque che ti ho già preparato>>, era impazzita per caso? E dove aveva trovato la roba da mettere nelle valigie? Io avevo quattro cose messe in croce. <<Dove hai trovato tutte queste cose? Io ho solo un paio di magliette, cos'è guardando quell'assurda serie sulle streghe, lo sei diventata anche tu e mi hai fatto un armadio nuovo?>>, <<quell'assurda serie è la mia preferita e non a caso, comunque ho semplicemente raggruppato le cose che spargi in giro Damon>>, <<puoi anche ammettere che è la tua serie preferita perché il vampiro ha il mio stesso nome>>, la stuzzicai, adoravo farlo perché puntualmente arricciava il muso, come se non volesse ammettere che infondo le piaceva essere stuzzicata. <<Se devo dirla tutta, quel Damon è molto più sexy di te, senza offesa>>, sapevo che voleva solo farmela pesare in un certo senso, perché sapeva che la gelosia era il mio punto debole, lo era sempre stato in realtà e ancora oggi, bruciavo di gelosia ogni qualvolta che qualcuno posasse il suo sguardo sul suo corpo o sul suo viso. <<Be' l'ho guardata anche io la serie e devo dire che quella Katherine è molto bella, con quello sguardo da cattiva, è tenace mi piace anche il carattere che ha>>, avevo colpito nel segno, vista l'espressione infuriata sul suo viso, be' dovrebbe sapere che non dovrebbe mai mettersi contro me. <<Dovrebbe essere un caso che non hai detto Elena? Non sei divertente>>, si voltò dall'altra parte e fece l'offesa, mentre allungai le braccia per farla voltare nella mia direzione.

 <<Dai stavo scherzando, tu sei stata la prima ad inferire comunque>>, mi guardò negli occhi con la consapevolezza che, ancora una volta, doveva darmi ragione, <<sì be' però io ti ho messo a paragone con qualcuno che non ti somiglia per niente, anzi tutt'altro. Comunque, è arrivato il momento in cui vai a prendere i ragazzi dalle varie palestre, e ricorda che Alice deve asciugare bene i capelli prima che andate via>>. Non dissi niente, sapevo che adesso avrebbe finto il broncio ancora per un po', presi le ultime cose e andai via. Andai a prendere prima Arthur che finiva più presto degli altri, aspettai dieci minuti e quando uscì, andammo subito a prendere Abel, che si fece attendere un po' di più. L'ultima tappa fu da Alice che faceva nuoto, essendo più piccola, non aspettai fuori ma entrai e attesi il consenso dell'insegnante, per entrare ad aiutare mia figlia. <<Buonasera signor Parker, aspettate vostra figlia?>>, ammiccò la signorina Savaris, l'insegnante di Alice che praticamente non poteva vedere un uomo che sentiva la necessità di provarci con quest'ultimo. <<Sì anzi adesso vado ad aiutarla, arrivederci signorina>>, mi diressi agli spogliatoi dove trovai un'unica bambina, seduta su una panchina. <<Alice, che c'è tesoro? Perché sei triste?>>, la piccola alzò lentamente gli occhi colme di lacrime dal pavimento, mi guardò con le sopracciglia incurvate. Se qualche bambino le avesse fatto del male, avrebbe potuto definirsi un bambino messo male. <<Papà, non vedi che ore sono? Sei arrivato tardi e sono rimasta sola!>>, urlò tra le lacrime, non me n'ero reso conto in realtà, avevo perso tempo per aspettare Abel e avrà pensato che nessuno sarebbe andato a prenderla, povera piccola. <<Tesoro scusami, ho aspettato un po' di tempo Abel e ho fatto tardi, puoi perdonarmi?>>, tirò su col naso e con la mano si strofinò gli occhi rossi, poi si avvicinò e allargò le braccia, l'afferrai e la presi in braccio. <<Ti perdono ma solo per questa volta!>>, le diedi un bacio sulla guancia e mi sedetti sulla panchina, <<ok hai ragione, adesso che ne dici se ci asciughiamo i capelli?>>, annuì e presi il phon, con cura le asciugai tutti i capelli, poi andammo in macchina e si lanciò tra le braccia di suo fratello.


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