21- I figli.

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DAMON

Eravamo quasi arrivati all'abitazione e Philip sembrava turbato sempre più, probabilmente nella sua testa frullava qualcosa, probabilmente stava riflettendo su come dirlo ad Hope. Non potevo immaginare quanto fosse difficile e soprattutto orribile, sapere che dovrai dire a tua figlia che stai morendo, che dovrai vedere la sua sofferenza. Non aprimmo più l'argomento e gli fui grato per questo, le sue parole mi rimbombavano in testa come una canzone sentita con il volume a palla. "C'è un motivo se dopo tutto questo tempo, gli occhi vi brillano ancora, se vi mancano le parole ogni volta che i vostri sguardi si incrociano" io non riuscivo a vedere ciò che vedeva lui, potevo vedere solo una donna che aveva sofferto tanto nella vita ed era stata ferita un'ulteriore volta, potevo vedere solo un uomo che era ancora innamorato di lei, ma che aveva perso l'occasione per amarla. "Dovete lottare per voi due e per l'amore che vi lega da tempo, dovete ritrovare quel filo conduttore che vi lega da tempo" Philip era un uomo saggio, ma non aveva considerato l'idea che probabilmente uno dei due, aveva già spezzato quel filo e che l'altro, non avrebbe potuto fare altro che accettarlo. Non sarei mai stato capace di spezzare quel filo, perché per quanto fossi un uomo forte e tenebroso, possedevo comunque una debolezza, e la mia portava un nome. Quel nome che tormentava la mia anima e si divertiva a farla contorcere, quel nome che riuscivo a sentire ovunque, anche se veniva detto tutt'altro. Il nome della madre dei miei figli, che li aveva cresciuti da sola, lontana da me e aveva messo su due capolavori. Hope, lei era la mia più grande debolezza, l'amore della mia vita, la donna che avrei amato per sempre. Non potevo negarlo a me stesso, ormai non riuscivo a farlo neanche più. Sapevo che sarei sempre stato quel ragazzino innamorato perso, che perse la memoria e con essa, sé stesso. Quel ragazzino che trovò il coraggio di imbattersi nei ricordi e di trovare in essi, lei, colei che l'aveva amato e massacrato in un solo colpo. <<Siamo arrivati>>, mi informò destandomi dai miei pensieri, finalmente l'attesa era finita, oggi uno di noi avrebbe vinto, l'altro be'... Sarebbe morto.

 <<Cosa facciamo? Non possiamo entrare dalla porta>>, non volevo aspettare un minuto di più ma non avevamo un vero e proprio piano, anzi non avevamo pensato proprio a nulla. Eravamo due teste calde, impulsive che si ritrovavano all'ultimo minuto a pensare davvero cosa fare, essendo allo scuro di ciò che accadeva lì dentro. <<Prima di tutto esaminiamo il territorio, magari capiamo qualcosa di utile. Secondo, niente colpi azzardati, ci sono dei bambini e non voglio spaventarli. Terzo, capiamo prima come stanno e cosa stanno facendo, poi agiamo di conseguenza, tutto chiaro?>>, non ero d'accordo ovviamente ma annuii, non avevo comunque un'alternativa. Girammo intorno alla villa, che ricordavo diversa. Era stata sicuramente ristrutturata, ricordo che era dipinta di rosso e aveva molte crepe, la pittura era messa male e aveva giusto una finestra. Questa sembrava un'altra villa, era dipinta di un color panna intenso, aveva finestre su ogni lato ed era perfettamente bella. Non aveva nessuna crepa, e avvicinandomici, sentii un odore familiare: era stata riverniciata da poco tempo. L'odore di pittura mi faceva capire che era un lavoro fresco, mi chiesi quando aveva iniziato i lavori per la modifica della casa, visto che sembrava tutt'altra cosa. <<Mi spieghi quando ha iniziato i lavori? Hai visto il salotto, insomma è completamente diverso, non è certo un lavoro che si fa in due settimane>>, avevo i nervi a fior di pelle ma parlai a bassa voce, c'erano delle vite in gioco. <<Puoi capirlo da solo, ovviamente Hope non può saperlo, lui non le avrà detto niente per non destare sospetti. In ogni caso, non riesco a vederlo>>, nemmeno io riuscivo a vederlo ma riuscivo a sentire delle voci in lontananza che mi resero più felice di quanto potessi immaginare di esserlo. Era sicuramente la sua voce, bassa, tenue e dolce ma con un pizzico di acidità. 

Non potevo sbagliarmi, la sua voce l'avevo sognata ogni notte, per quattromila e quindici giorni, attendendo il suo ritorno e il giorno in cui l'avrei sentita sul serio. <<Shh, Philip sta zitto, riesco a sentirla da qui>>, guardai il mio amico, sì amico, perché Philip era sempre stato accanto a me nei momenti bui della mia vita, anche quelli molto bui e io non potevo far altro che ringraziarlo e considerarlo il mio più caro amico. Eravamo l'uno di fronte all'altro, spiando le finestre a debita distanza, nella speranza di sentire quel qualcosa che ci avrebbe dato la forza di procedere e di non abbatterci. <<Cosa senti? Riesci a capire cosa dicono?>>, se avrebbe chiuso quel becco, magari potevo tentare di sentire qualcosa, oltre a delle semplici voci di sottofondo. <<Philip se non stai zitto, cosa sento secondo te?>>, il nostro battibecco finì in un istante, quando sentimmo la porta di ingresso aprirsi, qualcuno stava uscendo. Ci nascondemmo più veloce possibile, sul retro della casa, sperando che non avrebbe sentito dei passi e sarebbe venuto a controllare. Eravamo fortunati poiché come temevo, era Marcus ad aprire la porta e chissà come, non ci sentì minimamente. Ero curioso di sapere dove stesse andando ma al tempo stesso morivo dalla voglia di entrare in quella casa, di stringerla a me e di portarla via. <<Lo seguo io, tu nel frattempo prendi Hope e i bambini>>, mi lesse nel pensiero ma non volevo essere il solito egoista, spettava a lui il ruolo da supereroe, così avrebbe avuto l'occasione per confessare a Hope di essere malato. <<Non ci pensare nemmeno vecchio, non hai più l'età per gli inseguimenti e poi devi parlare con lei, ricordi?>>, Philip mi guardò trucido, <<non chiamarmi così, sono ancora un giovincello e ho degli ottimi riflessi. Devi stare con Hope, non accetto obiezioni>>, non mi diede il tempo di rispondere, salì sull'auto e mise subito in moto, sfrecciando via e lasciandomi lì, come un palo della luce. Aprii la porta ed entrai, nel salotto c'era Hope e tra le sue braccia una piccola che le somigliava molto, dormiva beatamente. 

Non mi vide subito e io non volevo farmi notare subito. Volevo godermi quella scena e vedere la dolcezza trapelare dal suo sguardo pieno di amore, che osservava sua figlia dormire. Quando mi vide, non disse niente, come se aspettasse il mio arrivo, non era sorpresa nel vedermi. Poi nei suoi occhi passò una scintilla e una lampadina le si illuminò, facendole spalancare gli occhi. <<Damon devi andare via subito, i gemelli non devono sapere che insomma... Lo sai e poi non è sicuro, tornerà a breve>>, questo era il suo modo per ringraziarmi? Pessimo, davvero un pessimo modo. <<Fammi capire, io vengo qui rischiando la vita, e tu invece che dirmi grazie, mi cacci via?>>, dissi con tono ironico e un mezzo sorriso, ma lei restò seria e capii che non stava scherzando, mi stava davvero mandando via. <<Non farmi sembrare un'ingrata, non possono vederti i gemelli, la somiglianza è troppa>>, aveva paura che i miei figli potessero capire che il loro papà fosse avanti ai loro occhi? Aveva paura che si sarebbero affezionati? <<Non posso andare via e non posso accettare che tu hai paura di farmi conoscere i miei figli! Sono venuto qui per salvarvi e portarvi via, quindi mi dispiace ma non andrò da nessuna parte senza voi>>, il tono deciso era in contrasto con il cuore che a ogni parola vacillava sempre di più. <<Allora sei tu il mio papà, finalmente posso conoscerti!>>, una voce alle mie spalle mi investì, era la prima volta che mi sentivo chiamare in quel modo e non sapevo nemmeno farlo, il padre. Il ragazzino alto, con i capelli neri molto simili ai miei e con gli occhi azzurri, identici ai miei, mi venne incontro quando mi voltai per guardarlo meglio, finalmente da vicino. <<Abel non dire così! Lui stava andando via>>, intervenne Hope, posando la bambina dormiente sul divano, inserendosi tra entrambi e nella conversazione. <<Mamma per favore smettila di trattarmi come se fossi un bambino di due anni! L'ha detto lui, io l'ho sentito e tu continui a mentirmi, perché non vuoi farmi avere un papà>>, questo sì che era un bel pasticcio. Vidi Hope afferrare le mani di Abel tra le sue, le strinse come se fossero un ancora a cui aggrapparsi. <<Tesoro ascoltami, non è come pensi sul serio. Non voglio dividerti da tuo padre ma le cose sono complicate e poi hai Alessio che è sempre gentile e vuole sempre giocare con te>>, mi stava seriamente paragonando con quel manipolatore, narcisista, traditore e doppiogiochista? Oh no, questa non potevo proprio accettarla. 

<<Non paragonarmi a quello stronzo ti prego e smettila, mentire a tuo figlio su chi sono io, non farà altro che peggiorare le cose che per la precisione, sono già degenerate>>, mi presi una pausa mentre mi avvicinai a loro, mi chinai per essere all'altezza di mio figlio e gli presi una mano che lui stesso aveva liberato dalla stretta di sua madre, <<ascolta piccolo uomo, quello che la mamma sta cercando di dirti è che le cose per noi due sono state difficili, e abbiamo perso di vista l'insegnamento più importante che la vita ci abbia mai fatto: l'amore quando è puro, è in grado di superare ogni cosa, qualunque. E tra noi un tempo c'era molto amore, ma gli ostacoli hanno avuto la meglio e ci hanno allontanati, portandoci a questo. Non ho mai smesso di amare la tua mamma e quando ho saputo della tua nascita e quella di Arthur, ho amato anche voi. Ho dovuto farlo da lontano però l'ho fatto, era impossibile non amarvi, e solo adesso sono riuscito a parlare con la mamma. Credo che tu sia un piccolo uomo intelligente e che puoi capire almeno in parte, perché sono stato assente, mi dispiace tanto>>, non ebbi il coraggio di guardarla anche se sentivo il peso del suo sguardo su di me, e Abel non disse niente, mi abbracciò, bastò soltanto questo per farmi sentire completo, con uno scopo finalmente nella vita.

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