XXXIII.

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Taehyung aveva cercato di mantenere davanti al fratello tutta quella calma razionale che era propria del suo carattere.

Aveva trattenuto dentro di sé tutta la rabbia che gli si era sprigionata in corpo, non appena Jungkook gli aveva confessato di essere stato violentato da Charlie.

La prossima mossa che avrebbe fatto il principe sarebbe stata incauta, avventata, presa in un momento di disperazione a lui totale in cui i suoi occhi non avevano visto nient'altro che ira.

Aveva perso il controllo, questa volta non della situazione, bensì di sé stesso.

Galoppava con fretta da Hatfield verso il centro di Londra dove i Dashwood risiedevano.

Aveva intenzione di affrontare Charlie faccia a faccia.

Non sapeva cosa avrebbe fatto o detto, ma era sicuro che qualcosa lì per lì gli sarebbe venuto in mente.

Non era abbastanza lucido per prepararsi un discorso con cui fargli una certa ramanzina o rinfacciargli tutto ciò che aveva fatto a Jungkook.

Il cuore gli batteva forte e veloce, così come il passo del cavallo che lo stava portando in città.

Taehyung era furioso e sapeva che, per via delle sue emozioni incontrollabili, avrebbe combinato guai; qualcosa di estremamente avventato a cui, se vi avesse ripensato in un momento di lucidità, non avrebbe potuto rimediarvi.

Era costantemente sottopressione e Jungkook lo aveva capito.

Il minore, dopo quella rivelazione, quasi si era sentito in colpa per aver sprigionato tali reazioni avverse nel fratello; sapeva che lo avrebbero mandato in confusione.

Ma Jungkook di certo non poteva continuare a tenersi tutto dentro e soffrire in silenzio, il suo animo delicato non sarebbe riuscito a sopportare tutto ciò.

Dal canto suo, Taehyung era grato al fratello per avergli rivelato quel segreto.

Insieme sarebbero stati più forti e l'avrebbero fatta pagare a Charlie - fosse stata l'ultima cosa che Taehyung avrebbe fatto!

Aveva sete di giustizia nei confronti di colui che Jungkook, fino a quel punto, aveva ritenuto amico.

Voleva vendicarsi cercando la pena peggiore, infliggendogli tanta sofferenza quanta ne aveva causata ai due Jeon.

Cavalcò fino alla dimora dei Dashwood, lasciando il cavallo alla servitù della casa stessa.

Appena entrato nella tana del nemico chiese di farsi annunciare, e - come una furia immensa senza controllo - camminò con passo sostenuto e veloce là dove Charlie stava conversando con altri esponenti della nobiltà inglese.

Si aprirono le porte del salone e Charlie lo accolse come se niente fosse successo chiamandolo a gran voce, cercando di mantenere la facciata del perfetto innocente privo di colpe.

"Principe! Qual buon vent-"

Non fece in tempo a concludere quella frase di cortesia che si ritrovò faccia a faccia con Taehyung.

Quella figura così fiera, imponente e vogliosa di giustizia lo terrorizzava.

Lo squadrò dall'alto verso il basso con aria di sfida davanti a tutti gli ospiti meravigliati ed in cerca di una motivazione per ciò che stesse accadendo.

Taehyung non si controllò.

Si sfilò il guanto gettandolo proprio ai piedi di Charlie senza scollare i suoi occhi da quelli dell'altro per un millesimo di secondo.

"Ti sfido per l'offesa atroce che hai recato a mio fratello."

Tale gesto - accompagnato da quelle parole - era sentore di una sola cosa: Taehyung stava intimando al marchese di sfidarlo a duello per l'ignominia che aveva recato alla sua famiglia, a lui stesso, ma soprattutto a Jungkook.

L'onore suo e quello del fratello erano stati lesi dall'azione di Charlie che il principe, certamente, non poteva lasciar passare impunita.

Charlie raccolse il guanto da terra in segno di accettazione della sfida, esitando un attimo, per pensare a come comportarsi davanti a tutti gli occhi aristocratici che erano stati scossi da quella scena.

Se Charlie, infatti, non avesse accettato, il suo nome sarebbe stato macchiato dall'accusa di infamia, marchiato come vile fellone e certo non poteva passare come tale davanti agli occhi dell'aristocrazia lì presente, sua alleata.

"Ogni vostro desiderio per me è un ordine, Principe Jeon." riuscì a trattenere lo sguardo fisso negli occhi di Taehyung suo malgrado questo lo terrorizzasse a morte.

Ciò che Taehyung gli aveva intimato era un duello all'ultimo sangue, quel tipo di scontro che si concedeva solamente qualora vi fosse stata inflitta un'offesa che coinvolgesse un affetto familiare, e per il principe Jungkook era il suo più grande.

Lo schiaffo simbolico con cui aveva sferrato il guanto davanti al marchese in quel frangente ebbe anche una valenza morale: lo aveva umiliato davanti a tutti gli aristocratici lì presenti - ciò era stato intenzionale da parte di Taehyung che voleva vendicare il fratello in tutti i modi possibili.

"Ti concedo molto più di ventiquattro ore. Viviti la tua ultima settimana al meglio, perché fra sette giorni, all'alba, io premerò sul grilletto e ti spedirò nella bocca di Lucifero, dove meriti di stare. Traditore."

Non valeva proprio la pena combattere la violenza con altra violenza.

Era uno speco di energie svantaggioso ed una carneficina inutile.

Taehyung lo sapeva bene, ma in quell'istante perse ogni suo briciolo di raziocinio e fu la rabbia a decidere per lui.

Spinse Charlie davanti a tutti facendolo sbilanciare indietro, ed uscì da quella stanza volgendo di scatto le spalle senza congedarsi adeguatamente così come imponeva l'etichetta.

Taehyung era furioso, folle di rabbia.

Nei duelli non contava la bravura, solo la fortuna.

Sebbene fosse il miglior spadaccino di tutta l'aristocrazia britannica, ed il più bravo nell'utilizzo di qualsiasi arma da fuoco - per via della sua costanza e dedizione nell'allenamento - sapeva che poteva rimetterci la vita, non rivedere più i suoi cari, nemmeno Jungkook.

Jungkook. Come l'avrebbe presa? Già si stava pentendo della sua pericolosa decisione così avventata e senza senso.

Galoppò in fretta verso Hatfield per tornare da lui. Sapeva che il più piccolo si sarebbe arrabbiatoper quella decisione, ma Taehyung voleva solo proteggerlo e quello gli parvel'unico modo.

Sarebbe tornato a casa e lo avrebbe consolato, abbracciato se luiavesse voluto farsi toccare anche solo per un attimo.

ʕ•ᴥ•ʔ

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