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3. Nì ma dove stai?

«Perché continui ad andare in terza, se io ti dico di andare in quinta?» mi domanda esasperata Stefania, la mia insegnante di danza. È da due ore, da quando abbiamo iniziato la lezione, che il mio cervello sembra essere del tutto assente dal momento che rifiuta categoricamente ciò che viene detto da lei, svolgendo una vita propria.
Mi porto una mano sulla testa, cercando di non rovinare almeno lo chignon in cui ho raccolto i miei capelli, trattenendo le mie lacrime. Non so cosa mi stia prendendo.

«Scusi, ora riprovo.» alzo le braccia per entrare in posizione ma improvvisamente vengono buttate giù da quelle della mia insegnante, che mi guarda seria negli occhi.

«È inutile riprovare, se oggi il tuo cervello ha deciso che non è una giornata buona non ci riuscirai mai, nemmeno se tenti cento volte, sbaglieresti tutte e cento.» la sua voce si fa inaspettatamente più calma, non mi urla più come cinque minuti fa ma anzi, sembra addirittura comprensiva.
Abbasso la testa, demoralizzata. La danza non è l'unica cosa in cui vado bene, ma è l'unica cosa che mi fa stare bene. È il mio posto sicuro quando sto male e sento come se tutto non andasse. Indosso le punte, faccio partire Čajkovskij e tutto sembra andare improvvisamente meglio. Per questo motivo vedermi ora così in difficoltà mi fa andare fuori di testa, e non saperne il motivo peggiora ancora di più la situazione.
«Cos'è successo?» domanda allontanandosi da me per avvicinarsi al piccolo frigorifero da cui estrae una bottiglietta d'acqua, lanciandomela.

È ormai tardi, i numeri romani sul grande orologio a parete segnano le otto meno dieci, tutte le mie compagne di corso sono tornate a casa mentre io ho deciso di rimanere per continuare a provare, e dal momento che Stefania non aveva impegni è rimasta con me.
«Non lo so, così all'improvviso non mi riesce più niente.» esclamo sedendomi sul pavimento della sala mentre gioco con la bottiglietta tra le mie mani, guardandomi intorno come se tutto quello che mi circonda mi fosse estraneo.
Stefania dall'altra parte della sala inizia a ridere, rimettendo alcuni vestiti dentro il suo borsone. «Non è che non ti riesce più Ludovica, hai solo una giornata no e di conseguenza questo si ripercuote sulla tua danza.» mi spiega avvicinandosi di nuovo a me, sedendomi di fronte. «Anche ai più grandi ballerini capita di avere una giornata no, in cui sembra di non avere più la stoffa per fare questo.» è esattamente come mi sento io adesso: un'incapace con delle punte ai piedi che cerca di mettere insieme qualche passo fallendo miseramente. Come una ragazza di diciannove anni che non ha mai studiato danza e un bel giorno si sveglia decidendo di voler iniziare.

Non notando risposta da parte mia si avvicina ancora di più, chinandosi verso di me e mettendo una mano sul mio piede, rivestito dalla punta. «Hai lottato per avere queste, e in questa scuola non lavorano incapaci che le danno al primo che capita.» dice, alludendo a quanto io abbia lavorato per farmi dare quelle scarpe. «Se te le hanno date è perché te le meriti, e non sarà sicuramente una coreografia che ti risulta più difficile a bloccarti.» giorni interi in palestra, prove giorno e notte per arrivare ad ottenere tutti i requisiti necessari per prendere le punte e poter iniziare veramente a costruire quello che è il mio sogno, ovvero ballare, niente di più.
Alzo finalmente gli occhi, ormai lucidi, rivolgendo un sorriso alla mia insegante che si mischia con qualche lacrima che inizia a scendere sulle mie guance.
«Grazie.» sussurro debolmente, facendola sorridere. In questo momento mi sento come un castello di carte in mezzo ad una tempesta di vento, sento di poter crollare da un momento all'altro.
«Tu hai davvero tanto talento Ludovica, non ne devi mai dubitare.» abbasso gli occhi, non mi capita spesso di ricevere complimenti ed infatti quando succede mi trovo sempre in imbarazzo. «Perciò ora tutti a casa! Abbiamo bisogno di riposo per affrontare al meglio la prossima lezione!» con un'energia che non conoscevo Stefania si alza dal pavimento su cui era seduta con un salto, incitandomi poi a fare lo stesso. Il suo tono è andato da serio ad euforico, è passata da una conversazione seria a scherzare e gettare tutto sull'ironia in meno di un minuto.
Seppur con meno forze ed energia la seguo, recandomi successivamente nello spogliatoio dove non faccio altro che indossare velocemente la tuta sopra il body, lasciarmi i capelli raccolti nello chignon ormai tutto disfatto, sciacquarmi rapidamente il viso e, con il borsone in spalla, raggiungere la mia insegnate che mi sta aspettando di fronte all'ingresso della scuola per uscire così da poter chiudere l'edificio. Cosa che doveva essere già stata fatta venti minuti fa, alle otto.

Piccola Stella | UltimoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora