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8. Tutto da capo

Niccolò.

«Scusa Riccardo, torno subito.» dico alzandomi velocemente per dirigermi verso la porta d'ingresso, lasciando Riccardo come uno scemo sul balcone di camera mia senza nemmeno dargli una risposta ed ignorando i vari richiami di mia madre nel vedermi correre via senza nemmeno il cappotto addosso.

Non se nemmeno io per quale assurdo motivo stia correndo verso di lui, e non sono sicura di volerlo sapere. È che ho tremendamente bisogno di risentire il suono della sua voce dopo una settimana e vedere quelle mani che mi hanno sfiorata più di una volta.

«Niccolò!» grido, vedendolo in piedi di fronte all'auto di sua madre in procinto di salirci, azione che cessa subito nel momento in cui sente la mia voce.
Mi avvicino velocemente a lui, che sembra impassibile di fronte ad ogni mio movimento. 

«Ciao.» dice quasi più come una domanda, mentre mi guarda con la fronte corrugata. Non si aspettava questo gesto da parte mia, come io non mi sarei aspettata di vederlo in fondo al mio cancello intento a guardarmi.
«Come mai qui?» dico la prima cosa che mi passa per la mente per non risultare un'ebete, anche se lo sembro già abbastanza ad essere corsa fuori senza nemmeno indossare niente sopra al maglione decisamente leggero che ho deciso di mettere per il pranzo mentre il respiro affannato per la corsa sta pian piano tornando regolare.

«Sono venuto a recuperare la macchina di mia madre dato che ieri l'ha lasciata qui.» risponde semplicemente lanciando uno sguardo alla macchina dietro di noi, una Volkswagen bianca.
Certo, è qui per la macchina. Non so quale assurda parte di me abbia pensato, o meglio sperato, che fosse venuto qua per me, ma ritraggo immediatamente i miei pensieri scuotendo la testa sotto il suo sguardo confuso, sembro pazza.
«Ah, capisco...com'è andata l'altra sera, ce l'hai fatta ad arrivare in tempo?» cambio completamente discorso, non voglio che si senta in imbarazzo ma soprattutto non voglio che se ne vada. Credo di dover iniziare a smettere di bere anche quel solo bicchiere di prosecco per brindare all'inizio dei pranzi, perché mi manda decisamente fuori di testa anche se si tratta di un solo sorso.
«Si ce l'ho fatta, anche se la cameriera non era proprio d'accordo di farci rimanere...l'ho convinta con la scusa di lasciare una cattiva recensione del locale.» si gratta la nuca nervosamente, ma sento comunque il suo tono più sciolto, come se stesse iniziando a prendere l'abitudine nel parlare con me.

Abitudine che però siamo costretti ad abbandonare quando mi sento richiamare da una voce che si fa sempre più vicina, finché non vedo una testa castana all'altezza del mio gomito.
«Ludo, la mamma ha detto di rientrare che sennò ti ammali.» esclama Riccardo facendomi cadere nell'imbarazzo più totale dal momento che Niccolò posa lo sguardo sulla mia figura rivestita solo da un misero maglioncino, sembro veramente patetica.
«Dici alla mamma che adesso rientro.» mento, non ho alcuna intenzione di tornarmene in casa finché non è lui a dire di volersene andare.

«Chi è lui, il tuo fidanzato?» se a volte Riccardo è molto più intelligente di tanti suoi coetanei e anche di persone più grandi di lui, altre non sa proprio tenere la bocca chiusa. Lo incenerisco con lo sguardo, spostandolo poi su Niccolò che mi guarda divertito, prima di chinarsi per raggiungere l'altezza di Riccardo come ho fatto io qualche minuto fa.
«No, sono solo un suo amico.» nel sentire quella parola il mio cuore perde un battito, il pensiero che mi consideri sua amica mi fa aumentare il battito cardiaco, facendomi credere alle sue parole per un secondo per poi rendermi conto che l'ha detto solo perché sta parlando con un bambino, per di più con mio fratello e non gli può dire come stanno realmente le cose, ovvero che non ci sopportiamo. «Mi chiamo Niccolò, e tu?» il suo tono si è fatto improvvisamente più dolce, sembra uno che ci sa fare con i bambini.

Piccola Stella | UltimoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora