INCONTRO capitolo 5

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Erano passati cinque mesi, Dafne era entrata alla U.A. mascherando il suo ingresso al terzo anno, nel corso ordinario. Fecero figurare che facesse parte di uno scambio culturale tra paesi. Il preside era l'unico a sapere la verità e le fu assegnato un alloggio nell'edificio principale all'ultimo piano creato all'occorrenza. Per Shouta dapprima fu difficile gestire quello spirito libero di sua figlia ma poi gli venne naturale comportarsi da padre: quel senso di protezione e di affetto sincero scaturiva senza troppe forzature, solo guardandola e rivedendo in lei piccoli atteggiamenti o espressioni della madre e di se stesso, lo rendeva orgoglioso di quello che aveva davanti.

Era negli allenamenti che vedeva la forza di cui era dotata, era disciplinata e determinata, attenta e precisa nei movimenti, non aveva usato il quirk liberamente in tutti quegli anni e avendole dato la possibilità di farlo nelle loro sedute di addestramento le aveva acceso una luce nuova negli occhi. Il suo obiettivo era quello di insegnarle a padroneggiare il suo potere. Da quando di era manifestato la principale preoccupazione era stata insegnarle il controllo, le arti marziali erano state un mezzo per creare una sorta di unione tra corpo e mente. Ma non le era stato insegnato come gestire appieno la propria unicità. Come padre, come ex eroe e come insegnante aveva il dovere di farlo per evitare che si facesse male o peggio che facesse del male a qualcuno per sbaglio. Aveva osservato il suo quirk negli allenamenti ed era quasi unico. Non ricordava nessuno di quelli che aveva incontrato in tutta la sua vita capace di quello che era in grado di fare lei. Lei percepiva l'energia nella materia e la manipolava con il pensiero, come trasferendo vita agli elementi, come se si amalgamasse con gli elementi circostanti. Akiko aveva un potere mentale con la possibilità di manipolare gli esseri viventi e anche il suo quirk annullamento sostanzialmente era un quirk psichico, attraverso le onde cerebrali riusciva ad avere un effetto sulle unicità delle persone. L'unione tra loro aveva dato vita ad un quirk davvero particolare. Ma sapeva che sua figlia sarebbe riuscita a capire come gestirlo con il suo aiuto.


Per Dafne fu difficile inizialmente accettare il ruolo di Aizawa. Lui era stato un eroe e non lo sopportava. Anche se la madre non le aveva mai nascosto l'esistenza di quel padre, non era riuscita a perdonargli il fatto che da bambina non aveva capito il perchè non poteva andare a salvarle. Ma nel loro primo incontro aveva percepito in lui una sensazione positiva ed era diverso da come erano di solito gli eroi che aveva visto in televisione. In quei mesi passare gran parte del tempo insieme permise ad entrambi di conoscersi ed instaurare un buon rapporto. Capì perché la madre se ne era innamorata.

Si era sempre sentita un po' in colpa per essere stata la causa della loro lontananza anche se erano stati i suoi nonni ad avere un ruolo di primo piano nella fine della loro storia, li ricordava con fastidio perché non erano mai stati amorevoli, non ricordava alcuna carezza o un gesto di affetto da parte loro e la loro casa le era parsa più una prigione che una vera casa.

La madre era morta qualche settimana prima, avevano passato quel tempo cercando di sembrare una specie di famiglia ma arrivò il momento per lei di fare appello a tutta la sua forza interiore perché l'ultimo mese di vita sua madre lo passò in ospedale. Vederla spegnersi a poco a poco le stritolò il cuore, si poteva preparare per tutto il tempo che avrebbe voluto, non sarebbe mai stata pronta ad una tortura del genere. Sapere di non poter fare nulla e attendere inesorabile la fine delle sofferenze non era una consolazione. Faceva solo più male.

Eppure non versò un lacrima anche se dentro il petto la tempesta emotiva che dilagava in lei la consumava dall'interno, solo sfogandosi negli allenamenti riusciva a lenire di poco la sofferenza che provava. Il padre fu l'unico conforto in tutto e lo sentì più vicino di quanto avesse potuto mai immaginare.

Il suo ingresso nella scuola non fu come se lo aspettava. Era di un paio di anni più grande dei ragazzi della sua classe ma era sempre stata capace a mimetizzarsi bene tra le persone. Anonima quando era ingruppo eppure fu accolta in modo positivo da tutti anche se era una new entry e loro avevano passato anni insieme. La sua percezione di diversità la sentiva comunque, non aveva passato gli anni dell'adolescenza come le persone normali, aveva vissuto in un posto isolato e in una comunità parecchio eterogenea, di suoi coetanei sene contavano sulle dita di una mano. Lo studio dell'arte calligrafiche e delle arti marziali occupavano gran parte del tempo. Poi c'erano le sedute di respirazione mattutine, i momenti di meditazione, gli allenamenti. La giornata scandita dalle ore solari con una rigida tabella di marcia. Non era quello che si aspettava un qualunque adolescente di città. Ma lei non era una qualunque, era una sventurata con un quirk complesso che andava controllato. Domato. Trattenuto.

Dafne era assorta in quei pensieri. Era un pomeriggio inoltrato di fine agosto. Faceva una corsetta nel cortile del complesso scolastico, una routine dopo il termine delle lezioni. Una lieve brezza le solleticava il viso e quella carezza era sempre stata per lei calmante e distensiva, era cresciuta in mezzo alla natura e prediligeva passare del tempo in quel cortile che comprendeva anche un boschetto.

Aveva contro il riflesso del sole che stava tramontando e si accorse all'ultimo istante che sulla sua strada c'era un'ombra. Era un ragazzo, i suoi pronti riflessi le evitarono di schiantarsi contro di lui. Spiccò un salto in alto per scavalcarlo, lo superò con un volteggio facendo leva con le braccia sulle spalle di lui e gli atterrò dietro per proseguire la sua corsa. Quando era sopra la sua testa lui alzò gli occhi e lo riconobbe. Quasi le venne un colpo, era quell'eroe che aveva incontrato mesi prima, anche se aveva la maschera quegli occhi li avrebbe riconosciuti ovunque, le si erano impressi nella mente e provò nuovamente la stessa sensazione di quel giorno.

"Ehi biondo sei sulla mia strada!"

Tirò dritto senza fermarsi e sentì lui sbraitare

"Sei tu che sei sulla mia strada sottospecie di cavalletta!"

Che diavolo ci faceva lì quel dannato eroe? E perché la stessa sensazione che aveva provato la prima volta che lo aveva incontratosi era prepotentemente manifestata un'altra volta?

Non riusciva a capire la motivazione di tutto quello scompiglio che le creavano il suo sguardo e la sua presenza.

Ma Dafne non poteva farsi trascinare da strane emozioni, fece prevalere l'ostilità nei confronti di quell'eroe per mantenere il distacco. Tirò dritto senza voltarsi, nuovamente decisa a mettere più distanza possibile tra loro.

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