Capitolo 40

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Katsuki non riusciva a parlare, era come se la lingua si fosse intrecciata e vedere le lacrime di Dafne lo aveva colpito come una coltellata in petto. Era la prova che avesse patito le pene dell'inferno e non ricordare cosa era diventata era l'ennesima dimostrazione che avevano fatto cose terrificanti sulla sua mente. Sul suo corpo c'erano segni di torture che aveva dovuto affrontare da sola. Vederla piangere e sapere di esserne la causa lo aveva pietrificato. Rimase immobile, non sapeva cosa dire, o meglio voleva dirle quello che sentiva ma le parole quella volta non uscirono. Aveva un nodo in gola che gli dava problemi anche a respirare. Lei era convinta di essere il motivo del suo silenzio quando era lui a sentirsi in colpa per quello che lei aveva passato.

Perché se ne stava zitto? Rimanere in silenzio era confermare quello che lei pensava. Possibile che non avesse il coraggio di parlarle apertamente? Era così difficile dirle quello che sentiva per lei? Confessarle il suo amore l'avrebbe sollevata, forse. Ma il cervello aveva reciso i collegamenti con la bocca.

Era arrabbiato con se stesso, strinse le mani a pugno quasi a farsi diventare le nocche bianche. Provava un senso di sconfitta e di amarezza. Non gli piaceva. Non era stato capace di proteggerla e lei ne aveva pagato le conseguenze più gravi: doveva convivere con la consapevolezza di aver ucciso qualcuno.

Si odiò per quello che Dafne aveva passato. Vedere lei in quello stato lo bloccava. Quando si era trattato di salvarla da se stessa o da quei folli non aveva esitato a lanciarsi contro il pericolo. In quel momento la causa del suo malessere era lui e non lo sopportava.

Ti prego leggi nei miei occhi quanto ti amo!

Ma lei era ancora troppo scossa ed era stanca, poteva solo immaginare la confusione che provava e non era giusto rincarare la dose a quel senso di inadeguatezza che lei gli aveva confessato. Era stata così critica con se stessa. Non era arrabbiato per quello che lei aveva fatto. Non l'avrebbe mai giudicata. Lei era troppo importante per lui e proprio per questo il fallimento che provava per non averla protetta lo turbava.

Trovò il coraggio di abbracciarla per tranquillizzarla, voleva solo farla smettere di piangere. Lei ricambiò il suo abbraccio, lentamente i singhiozzi si placarono e si addormentò sfinita tra le sue braccia.


I valori di Dafne erano tornati normali e dopo un paio di giorni dal suo risveglio fu dimessa. Katsuki andò a prenderla e tornarono a casa insieme. Tra loro c'era un silenzio pesante, non si erano più parlati dopo il loro discorso in ospedale. Nel tragitto verso casa Katsuki aveva guidato con le mani strette sul volante e gli occhi fissi sulla strada, non aveva detto nulla anche se Dafne aveva più volte provato ad intavolare una conversazione.

Il sospiro di sconfitta che lei emise, dopo l'ennesimo tentativo a vuoto, lo fece sentire un vile. Per non esporsi lui sceglieva sempre di sgretolare l'animo delle persone. Ma lei non era una qualunque.

Perché gli era così difficile ammettere le sue insicurezze e le sue paure? Sapeva che con lei poteva mostrarsi completamente, non lo avrebbe fatto sentire incapace eppure c'era sempre quel suo lato orgoglioso che gli evitava di essere completamente sincero anche con lei, che era diventata la persona più importante della sua vita.

Scesero dall'auto come due estranei, Katsuki anticipava Dafne di qualche passo nel tragitto dall'auto alla porta di casa, con il borsone sulle spalle sentiva un peso ben più grande addosso.

L'aria di casa non fu un sollievo per nessuno dei due che avevano smesso di guardarsi. Due automi che vagavano senza incontrarsi tra gli ambienti che avevano condiviso mesi prima. Katsuki si fiondò in cucina per preparare la cena, cucinare per lui era sempre un modo per sbollentare la tensione. Dafne fece un giro tra le stanze come un ospite, le sue cose erano nel punto esatto dove le aveva lasciate. Le fu chiaro che lui aveva vissuto in quella casa come un vagabondo giusto per dormire, ma sul divano, come se il letto fosse stato un posto maledetto da cui stare alla larga. Il loro giaciglio d'amore si era trasformato in un ambiente spaventoso. 

La cena non fu un momento di condivisione come lo era sempre stato, il silenzio quasi li schiacciava. Katsuki aveva evitato di guardarla per tutto il tempo e non alzò lo sguardo nemmeno quando lei esclamò

"Mi è mancata la tua cucina chef!"

Dafne capì che lui aveva un peso addosso che non voleva condividere.

Il solito testone!

Sospirò quasi in segno di resa. Quando lui si fissava su una cosa non era facile fargli cambiare idea facilmente.

Katsuki si alzò per portare i piatti nel lavandino e si dedicò a lavarli. Le spalle si muovevano decise, aveva messo una foga estrema in quella attività. Era agitato. Lo si poteva percepire a distanza, prima di immergere le mani in acqua una piccola esplosione per poco non distrusse i piatti che portava. Il contatto con l'acqua fu un sollievo per lui, i palmi sudati trovarono la giusta posizione per tacere.

Si muoveva al rallentatore per dilatare il più possibile quel momento, con la scusa di essere impegnato a fare qualcosa poteva evitare di affrontarla apertamente. Stava ancora decidendo nella sua testa come proseguire quella serata. Sperava davvero che lei potesse dargli un assist per dargli la possibilità di fare chiarezza tra di loro. Non voleva davvero che lei pensasse che la guardava in modo diverso. Perla prima volta in vita sua si vergognava di se stesso. Per questo evitava di fissarla negli occhi, voleva evitare di farle capire quel suo sentimento.

La vergogna.

Un'emozione di turbamento e disagio. Lui Bakugo Katsuki, quando mai si era sentito imbarazzato per qualcosa che aveva fatto!

Eppure un suo errore era stato il motivo del rapimento di Dafne. Ed era quello che non riusciva a sopportare: l'averla messa in pericolo.

Lei era dietro di lui poteva percepirla, ancora seduta al suo posto.

Chissà cosa starà pensando!

Un attimo dopo la sentì muoversi, forse aveva perso le speranze di ricucire un contatto tra loro.

Dafne si alzò composta dalla sedia, vedere Katsuki di spalle, in completo silenzio, le stritolò il cuore, era a due passi da lei ma così distante.

Ma non poteva farsi spaventare dal muro che lui aveva eretto nuovamente per proteggersi dalle emozioni. Lo avrebbe scalato quel muro anche ad occhi chiusi. Aveva deciso che era arrivato il momento che lui si liberasse del peso che si portava dentro. 







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