La Triade di Dante, Frammento v

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Benvenute nel mio inferno my ladies 💕

Mancavano soltanto poche settimane alla fine dell'Inferno e Lucifero si sentiva già malinconico

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Mancavano soltanto poche settimane alla fine dell'Inferno e Lucifero si sentiva già malinconico. Gli piacevano anche il Purgatorio e il Paradiso, ma l'Inferno aveva quel qualcosa in più che lo faceva fremere seduto sul suo trono.

In questo momento stava guardando attentamente i suoi discepoli inginocchiati al suo cospetto. Erano tutti presenti tranne Aracne, che non riusciva più a camminare a causa di Dante, e la sua mente venne assalita da diversi pensieri.

Era stata una settimana particolare e qualcosa era sfuggito al suo controllo, ma non si era ancora capacitato del motivo per cui le cose non fossero andate per il verso giusto.

«C'è qualcosa che mi nascondete?» domandò loro glaciale, ma nessuno si prese la briga di rispondere a quello sproloquio inutile.

Era come camminare su un campo minato ed erano stanchi di fare quella vita, prima o poi avrebbe smesso di amare la sua voce e li avrebbe lasciati andare a sbrigare le loro commissioni.

«Se mai venissi a sapere che state complottando contro di me vi ucciderò tutti, è chiaro?» domandò ancora e Narciso alzò la testa trovando il coraggio di affrontarlo.

«Perché dubita di noi?» chiese senza giri di parole, gli sembrava strano quell'atteggiamento.

Erano sempre stati precisi nell'assecondare i suoi ordini e non capiva cosa era cambiato da un momento all'altro. A causa delle sue scelte aveva quasi perso due discepoli e nessuno si era lamentato.

Minosse stava per precipitare da un dirupo e Aracne era stata sotto i ferri due volte in una settimana e lui non li aveva minimamente aiutati. Era stato lì a guardare, come faceva sempre, lasciando che ne uscissero da soli.

«Chi è colpevole conosce la risposta a questa domanda» disse senza sbilanciarsi troppo, ma avrebbe chiesto alla sue guardie di sorvegliarli uno a uno per capire cosa nascondevano.

Sempre se nascondevano qualcosa, non ne era certo, ma preferiva mettere le mani avanti.

«La sua titubanza mi fa quasi sorridere» commentò Cerbero adirato, «non si fa scrupolo a torturarci o a farci torturare, e poi esige la nostra lealtà come se niente fosse».

«È un'ammissione di colpa, la tua?» domandò freddamente.

Non lo era, ma non poteva credere che avrebbero retto ancora molto quei comportamenti. Alla fine, si sarebbero ribellati anche loro e la sua testa sarebbe caduta come quella del re Luigi XVI.

Avrebbero goduto nel vedere il suo cranio rotolare sul pavimento, mentre bevevano champagne.

«Non ho niente da ammettere, ma se qualcosa che sta andando storto forse la responsabilità non è la nostra, ma di qualcuno che tira la corda eccessivamente» rimarcò l'ultima parola con veleno.

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