Capitolo 1

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2009.

Violet.

La scuola non è mai stata così silenziosa, siamo rimaste soltanto io e la mia insegnante Melanie Wytt. Mi avvicino a una finestra e rimango incantata da quello spettacolo fatto di pioggia battente, lampi e tuoni. Adoro tutto ciò che crea caos e scompiglio, mi distrae dal mondo reale. A un certo punto alla professoressa arriva una telefonata e si allontana parlando a bassa voce, poco dopo chiude il telefono di scatto. 

- Tuo padre è stato trattenuto al lavoro, verrà a prenderti tua madre.

Ci avviamo verso il cancello, cercando riparo per non inzupparci i vestiti di pioggia. I miei lunghi capelli castani sono completamente bagnati, ma gli occhi verdi brillano di una luce intensa riflettendo i colori del cielo. Ho ereditato i capelli scuri di mia madre Meredith e gli occhi chiari di mio padre Caleb. Quando ero piccola i miei genitori battibeccavano spesso per decidere a chi somigliassi di più ma con il tempo vi rinunciarono, alla fine sono diventata un mix perfetto dei due. Salgo in auto.

- Non torniamo a casa? Dove stiamo andando?

- Vorrei, ma non c'è tempo. Tra cinque minuti ho un importante appuntamento a cui non posso mancare.

- Nel tuo studio?

- No, devo andare io da loro.

- Come mai?

Questa è una cosa parecchio insolita. Sono sempre i pazienti a venire da mia madre, mai viceversa.

- Si tratta di una famiglia dei Dieci, vogliono discrezione.

Quando arriva il momento di scendere dall'auto quello che vedo mi toglie le parole di bocca. Davanti a me si staglia una maestosa villa, bianca e luminosa, costruita su tre piani, immersa nel verde e con una fantastica piscina. Bussiamo e sulla soglia compare una donna alta, dal portamento elegante, con lunghi capelli biondi.

- Dottoressa Richards?

- Salve, sono la psicologa Meredith Richards e lei è mia figlia Violet. Ho dovuto portarla con me a causa del maltempo, mio marito è stato richiamato al lavoro. Non sarà di nessun disturbo, potrà fare i compiti in silenzio.

- Benvenute, allora. Io sono Rebekah Coleman e loro sono i miei figli, Malcom e Dawson.

Scorgo due ragazzi. Uno sembra più piccolo, ha i capelli castani e gli occhi neri. L'altro è più alto, con i capelli biondi e gli occhi scuri. Rebekah mi fa accomodare in una stanza piccola e confortevole dove poter studiare, mentre mia madre segue il più piccolo in un'altra stanza. Immagino che sia lui il suo paziente. Generalmente le sue sedute durano un'ora, quindi trascorrerà parecchio tempo prima di tornare a casa. Non mi va di fare i compiti in un ambiente diverso da quello a cui sono abituata, ma ho promesso a mia madre che non avrei dato alcun fastidio. Alla fine, però, la curiosità ha la meglio. Cerco di non fare rumore mentre inizio ad aggirarmi tra le stanze osservando con attenzione ogni singolo particolare, a partire dai quadri appesi alle pareti. A un certo punto entro in una camera, la porta è semiaperta, da quel balcone si gode di una vista meravigliosa. Non mi rendo conto che nel frattempo qualcuno è entrato dietro di me.

- Tu devi essere la figlia della psicologa, giusto?

Mi giro e di fronte a me vedo un ragazzo alto, con i capelli biondi un po' spettinati e gli occhi azzurri accesi di una luce maliziosa.

- Sì, mi chiamo Violet.

- Ti hanno mai detto che non è carino spiare nelle stanze degli altri?

- Non sto spiando, la porta era aperta.

Mi sono già pentita di questa risposta. Suona quasi come una giustificazione, quando in realtà non ho fatto niente di male.

- La porta era aperta? Sul serio?

- Lo era davvero. Se non mi credi non importa, so di avere ragione.

- Dovrei fidarmi della tua parola? Non ho ancora deciso.

- Sono davvero dispiaciuta di aver interrotto i tuoi importantissimi impegni che non ti hanno permesso di salutare degli ospiti.

- Non vedo nessun ospite qui, tu sì?

- Ospiti non saprei, ma un cafone sicuramente sì.

- So che non è una scusa valida, ma non mi andava di accogliere qualcuno che presto fuggirà da casa nostra ritenendo impossibile curare il male che ci portiamo dentro nonostante le apparenze.

- Finora è andata così?

- Il copione più o meno è questo. Mia madre si affanna alla ricerca di un professionista che sappia fare il suo lavoro, mentre mio fratello è convinto che nessuno potrà mai aiutarlo. Comunque, dimentica tutto quello che ti ho appena detto. Tua madre è libera di andare e tu con lei, non sarebbe la prima e di certo neanche l'ultima.

- Non conosci mia madre, cerca sempre di fare il massimo.

- Nessuno resta davvero.

Detto questo se ne va, come se quella conversazione non fosse mai avvenuta. Solo adesso mi rendo conto di non avergli chiesto il nome.

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