Capitolo 8

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Violet.

Questa mattina mi sono svegliata presto. Io e mia madre ci diamo da fare preparandoci per la festa dell'Archer's day, una delle più importanti di Dark Rose, giorno in cui si celebra la fondazione della città attribuita al nostro protettore Archer, a dispetto delle leggende sui poteri e sullo spazio temporale. Dopo il pranzo in famiglia, andiamo a cena dai Coleman. La sala è adornata con splendide composizioni floreali, ha cucinato tutto Rebekah. Ci sediamo come facciamo sempre, con Rebekah a capotavola, seguita da mia madre, me e i fratelli Coleman, con la giusta distanza tra me ed Evan. Cantiamo le canzoni tradizionali di questa festa, qualcuno stona un po' ma non ci facciamo caso più di tanto, poi scartiamo i regali. Ho ricevuto una catenina d'argento con un ciondolo a forma di luna. Me ne innamoro immediatamente e ringrazio più volte Rebekah, senza sapere che a scegliere il regalo è stato Evan. Convinco Malcom a suonare il pianoforte per noi. Inizialmente non vuole farlo, anche perché non si è mai esibito davanti alla sua famiglia. La musica sgorga dai tasti del pianoforte quasi come per magia. Rimaniamo incantati ad ascoltarlo per lungo tempo. È stato bravissimo. L'atmosfera si interrompe quando Evan si siede accanto a me. Dawson gli lancia occhiate infastidite, ma sembra che lui non se ne accorga. Guarda soltanto me e io mi sento in soggezione. 

- Complimenti. Non so come tu sia riuscita a convincerlo, ma te ne sarò sempre grato.

Immagino che voglia aggiungere altro, quindi lo precedo.

 - Molto più di quanto sia riuscito a fare tu in questi anni. 

- Hai ragione, forse avrei dovuto spronarlo di più, ma non credere che per questo tu sia diventata una di noi o che tu abbia il diritto di fare domande su cose che non ti riguardano. Buon Archer's day, Violet.

Ha cambiato umore ed è solo colpa mia. In questo momento quasi mi pento della risposta che gli ho dato.


Dawson.

Dopo cena mi stendo sul letto sconfortato. Non sono riuscito a dichiarare i miei sentimenti a Violet e probabilmente non sono ancora pronto per farlo. Non riesco a capire se le piaccio oppure se mi veda solo come un caro amico. Poco dopo sento bussare. Si tratta di Evan, non ho molta voglia di ascoltarlo. Entra direttamente in camera.

- Non mi sembra di averti dato il permesso. 

- Non mi sembra di avertelo chiesto. Come va?

- Sto bene.

- Forse pensi che io sia un pessimo fratello, ma ti conosco e so riconoscere una bugia.

- Sono solo un po' giù. 

- Posso saperne il motivo?

- Per Violet.

- So che ultimamente non sono stato molto presente, ma ho più esperienza di te in fatto di ragazze e, credimi, non vale la pena stare male per questo. 

- Non si tratta di una ragazza qualunque.

- Cosa avrebbe di diverso rispetto alle altre?

- Se la conoscessi davvero capiresti. 

- Dubito che voglia conoscermi e a dire il vero nemmeno io ci tengo tanto, mi ha guardato male dal primo istante in cui ci siamo visti.

- Non puoi capire come mi sento perché non credo che tu ti sia mai innamorato, se non di te stesso.

- Beh, in effetti sono bello, intelligente e anche simpatico quando voglio. - mi dà una pacca scherzosa sulle spalle.

Mi scappa un sorriso del tutto involontario.

- So che sei convinto di provare chissà quali sentimenti per lei, ma non meriti di stare male per quella ragazzina impertinente e ficcanaso.

Per un attimo queste parole mi rincuorano, anche se me ne vergogno perché sta parlando male di Violet.

- Qual è la cosa più folle che faresti per amore?

- Credermi innamorato sarebbe già abbastanza folle. 

- Dico sul serio. Allora?

- Non saprei, non mi viene in mente niente. Perché, tu cosa faresti?

- Penso che potrei arrivare a fare qualsiasi cosa per la persona che amo. Tu, invece, dovresti imparare a mettere da parte il tuo orgoglio. 

- Stai scherzando, spero. Non esiste ragazza al mondo per cui valga la pena di fare follie.

Stare con Evan è così, quando ti dà attenzioni ti fa sentire speciale. Ci riesce anche con me, che speciale non sono mai stato per nessuno.


Violet.

Quando torno dai Coleman, Malcom mi accoglie con un sorriso smagliante. Rebekah è ferma sulla soglia e ci guarda con occhi che sembrano luccicare, come a volermi ringraziare per essere riuscita a renderlo più sereno. Lo seguo nella sua camera e lo aiuto con i compiti. Quando gli chiedo come va a scuola cambia umore divenendo più taciturno. Non capisco cosa io abbia detto di sbagliato. Prima di andare via sento Dawson chiamarmi.

 - Sei libera venerdì pomeriggio?

Quando fa progetti è impossibile frenare il suo entusiasmo.

- Ho promesso a Malcom di accompagnarlo a lezione di pianoforte. 

- Esci con me, lui capirà.

- Non me la sento di dargli buca. 

- Va bene, non sia mai che tu deluda il piccolo Malcom.

- Adesso stai esagerando, Dawson.

- Ho capito che ti importa solo di lui.

Ne ho abbastanza del suo cattivo umore, non sono disposta a farmi maltrattare solo perché ho deciso di tener fede a un impegno. Mi reco in giardino con l'intenzione di sbollire la rabbia quando da una finestra aperta mi arrivano le voci di Evan e Dawson.

- Allora? Non hai niente da dirmi? 

 - Avevi ragione, non è interessata a me.

Non riesco ad ascoltare il resto della conversazione perché mia madre sceglie proprio quel momento per avvisarmi che dobbiamo tornare a casa. Le chiedo di darmi qualche minuto per salutare e vado a cercare Evan. 

- È così, allora? Cerchi di allontanarmi dalla tua famiglia facendo credere a Dawson che non mi importi nulla di lui?

- Ciao anche a te, Violet.

- Non hai idea del rapporto che abbiamo io e lui. Sei forse geloso?

- Perché dovrei? Cerco solo di aprire gli occhi a mio fratello.

- Continua pure a divertirti alle mie spalle. 

Adesso sono ancora più arrabbiata di prima. Forse è il caso di prendere un po' le distanze dai fratelli Coleman. Trascorre qualche settimana. Mia madre cerca con fatica di riprendere in mano la sua vita, è sempre più dipendente dalle pillole che prende per riuscire a dormire. Provo ad affrontare con lei questo discorso, ma risponde di essere molto stressata per via del suo lavoro. Non mi sta raccontando tutta la verità, ma capisco che non aggiungerà altro. Vorrei tanto che si aprisse con me e che non mi considerasse troppo piccola per capire. Se solo fosse possibile prenderei un po' del suo dolore per farla stare meglio. Mi sento impotente.

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