Violet.
Il sabato della settimana seguente è un giorno freddo e piovoso. Mia madre vorrebbe che io rimanessi a casa, ma alla fine la convinco ad accompagnarmi dai Coleman. Voglio scusarmi con Malcom.
- Mi dispiace, non avrei dovuto intromettermi nei vostri affari di famiglia. Ti assicuro che non si ripeterà.
- So che non avevi cattive intenzioni. Tranquilla, è tutto dimenticato.
Dopo vado a cercare mia madre. Chiedo a Rebekah, Malcom e Dawson, ma nessuno di loro l'ha vista. Resta una sola camera da controllare, l'unica in cui non sarei voluta entrare di nuovo, quella di Evan. La porta è chiusa. Sto per andarmene quando sento delle voci.
- Loro non lo sanno?
- Non ne hanno idea, me lo ha fatto promettere.
Mia madre parla con Evan di qualcosa che deve rimanere segreta, ma cosa esattamente?
- Non voglio che mia figlia venga coinvolta in questa storia, potrebbe essere pericoloso. Forse dovrei allontanarla.
Allontanarmi da chi? E per quale motivo? Non ci capisco niente.
- Crede di riuscire a mantenere il segreto?
- Devo farcela.
- Non sarà facile, i segreti a poco a poco uccidono. Io ne so qualcosa.
La conversazione dev'essere terminata perché percepisco il rumore di passi che si dirigono verso la porta.
- Violet, che ci fai qui? - mia madre lancia uno strano sguardo di intesa a Evan.
- Ti ho cercata dappertutto, vorrei tornare a casa.
Non aggiungo che ho ascoltato qualcosa che fatico a comprendere ma che evidentemente vogliono tenermi nascosto.
Meredith.
Anche oggi rientro a casa molto tardi.
- Iniziavo a dubitare che saresti tornata. - dice Caleb, mio marito, accogliendomi con fare irritato.
- E invece come vedi sono qui.
- Sì, ma mi chiedo se ci sei veramente.
- Cosa intendi dire?
- Che fisicamente sei a casa, ma il tuo pensiero è altrove. Precisamente dai Coleman.
- Sto facendo tutto il possibile per aiutare Malcom. È il mio lavoro, non mi sembra una colpa.
- Ma ti ascolti quando parli? Credi che gli altri pazienti non abbiano anche loro bisogno del tuo aiuto? Cosa avrebbero questi ricconi più di tutti gli altri?
- Non ti permetto di parlarmi così. Malcom è un mio paziente e non lo discriminerò di certo per la ricchezza della sua famiglia. Violet ama stare in loro compagnia, non l'ho mai vista così felice.
- Questa storia finirà male, quando te ne renderai conto sarà troppo tardi.
So che torneremo a parlarne. Vado a letto, ma fatico ad addormentarmi. La mia insonnia sta diventando cronica. Evan ha ragione, mantenere il segreto mi sta uccidendo. La mattina seguente mi preparo per andare al lavoro, ho fissato tre appuntamenti. Spero che sia una cosa veloce, ma a questo pensiero provo vergogna. Forse è arrivato il momento di ammettere con me stessa che Malcom non è un paziente come gli altri, ma quello a cui dedico la maggior parte del mio tempo. Il primo paziente del giorno è il piccolo Bryan di nove anni, lo faccio entrare in studio insieme al padre. Durante la seduta ripeto le solite frasi di circostanza, fatico persino a tenere gli occhi aperti.
- Allora dovremmo parlarci? - insiste il signor Mayer, riportandomi al presente mentre inseguo i miei pensieri confusi.
Cerco di fare mente locale per capire di cosa stia parlando, ma proprio non riesco a ricordare. Vedendo che stento a rispondere, il signore, infastidito, prende per mano il figlio e va via sbattendo la porta. Dovrei rincorrerlo e scusarmi, ma per qualche strano motivo non lo faccio. La mia vita sta prendendo una brutta direzione e non so come rimetterla in piedi. Nel giro di due settimane è già il secondo cliente che mi abbandona, tra l'altro lasciando pessime recensioni sul mio conto. Nel pomeriggio vado a trovare Rebekah.
- Va tutto bene, Meredith? Ti vedo strana.
- Puoi dirlo forte, Rebekah.
- Ti va di bere qualcosa?
- Magari qualcosa di forte. Un altro cliente se n'è andato, il padre di un mio piccolo paziente. Lo ha fatto sbattendo la porta e io non ho tentato di rimediare.
- Non dovrei essere io a dirlo, ma non puoi continuare così.
- Lo so, ma tutto questo mi opprime. Non mi ero mai chiesta prima d'ora se fossi davvero adatta per questo mestiere, ma adesso sono piena di dubbi.
- Certo che lo sei e mio figlio ne è la prova.
- Mamma, credo che Malcom abbia bisogno di te. - dice Evan entrando in salotto.
- Vado a vedere di cosa si tratta, torno subito.
- Come vanno le cose, signora Richards?
- Potrebbero andare meglio.
- Mia madre pensa che Malcom stia migliorando, è davvero così?
- Non quanto vorrei. - dico con evidente dispiacere.
- Lo avevo intuito, ma non deve credere che sia colpa sua. A volte anche l'aiuto più grande non è abbastanza se non si è pronti ad accoglierlo. Lei lo ascolta e lui è contento di questo.
In quel momento torna Rebekah.
- Di cosa discutevate? Ormai mio figlio si confida più con te che con me.
- Niente di importante, ma è un ragazzo molto intelligente e maturo.
- Sappi che per qualunque cosa puoi contare su di me.
Tornata a casa io e Violet prepariamo la cena, le piace tanto cucinare insieme.
- Non abbiamo mai parlato dei fratelli Coleman. Dimmi, cosa pensi di loro?
- Malcom e Dawson sono i miei migliori amici.
- Ne sono felice, sono dei bravi ragazzi. Di Evan, invece, cosa mi dici?
Violet mi guarda stupita.
- Perché? Cosa dovrei dirti di Evan?
- Insomma, ci avrai pur parlato qualche volta.
- Evan non somiglia per niente ai suoi fratelli. Non andiamo d'accordo, credo di stargli antipatica.
- Sono sicura che non sia così. Magari potresti provare a conoscerlo meglio.
- Stai scherzando? Non riusciamo a scambiare tre parole di fila prima di litigare. È la persona più arrogante e presuntuosa che io abbia mai conosciuto.
- Peccato. A me piace molto ed è anche un gran bel ragazzo, non trovi? - la butto lì.
- Tu dici? Non me ne sono mai accorta. - lo dice arricciando il naso e quasi strabuzzando gli occhi.
- Magari un giorno mi darai ragione. - dico facendole l'occhiolino.
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Out of destiny
FantasyDue continenti, un universo parellelo. Violet ha tredici anni quando incontra per la prima volta i fratelli Coleman, la cui famiglia nasconde molti segreti. Qualche anno dopo si incontreranno nuovamente, mentre la guerra si avvicina e il tempo non e...