CAPITOLO 10 ~ Honsool

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CAPITOLO 10
Honsool

Le parole di Taehyung avevano colmato solo una parte delle sue mille domande sulla “nuova vita” di Jimin, ma mancava ancora un “piccolo” passaggio.

Yoongi, quella sera, aveva persino rinunciato a una serata in discoteca proposta da Jungkook. Pur essendo un tipo molto rigido ed esigente sul lavoro, il corvino, da perfetto americano, era un amante della movida notturna, e in più di un'occasione si era trascinato il menta nelle sue serate mondane anche solo per farlo distrarre dai pensieri tristi.

Il giovane manager voleva sfruttare e godersi al massimo quei tre giorni di pausa dal lavoro, prima della grande “full immersion” che li aspettava per la preparazione al debutto ufficiale di Agust D.

Yoongi però, ormai saturo di quello stile di vita, aveva gentilmente declinato il suo invito, preferendo piuttosto rimuginare sulla sua conversazione avuta con Taehyung.

C’era una frase che più di tutte gli era rimasta in testa ed era la stessa che l’aveva spinto in quel momento a tirare fuori dal fondo dell’armadio della sua camera da letto, una vecchia scatola.
Era di piccole dimensioni e ricoperta di nastro carta, ormai ingiallito.
Alla vista di essa, gli tornò in mente il giorno in cui, col magone in gola, aveva avvolto quel piccolo contenitore di cartone con l’unica cosa che possedeva in casa all’epoca, in grado di sigillarne il contenuto, seppur lasciandosi sempre la possibilità di poterla riaprire un giorno.

Quella scatola era rimasta chiusa per sei anni, ma dopo l’incontro con Taehyung, sentì il bisogno di doverla riaprire.
L’aveva portata con sé in giro per l'America, in ogni suo spostamento, in ogni suo cambio d’appartamento, fino ad averla riposta per lungo tempo in uno stipo a muro del suo attico newyorkese e non aveva più badato alla sua esistenza.

Ma quando ricevette dal suo manager la notizia del loro trasferimento a Seoul, fu la prima cosa che mise in valigia e la prima a nascondere nel suo nuovo appartamento.
E ora era lì, poggiata sul letto che aspettava solo di essere scoperchiata, come il vaso di Pandora, pronta a sprigionare tutto il dolore che era rimasto rinchiuso lì per anni.

Yoongi indugiò su ciò che stava per fare. Poteva già immaginare quanta sofferenza gli avrebbe causato quel gesto, ma ormai era deciso a conoscere la verità che aveva voluto evitare per così tanto tempo.

Dovette aiutarsi con un coltellino da cucina per rimuovere tutto quel nastro. Essendo lo scotch di per sè già fragile, il menta aveva pensato di avvolgere interamente la scatola fino a quasi mummificarla.

Quando finalmente riuscì a rimuoverlo, si accorse di come le sue mani stessero tremando.

Si fece forza e rimosse il coperchio della scatola provando un forte tonfo al cuore vedendo l’oggetto conservato al suo interno.

Era il suo telefono.

Quello che aveva con sé sei anni fa, ma che aveva spento il giorno stesso in cui aveva preso il volo per l’America.

“Ti ha scritto ogni giorno per due mesi”

Sapeva che Jimin avrebbe provato a cercarlo e a convincerlo a tornare e sapeva che, con ogni probabilità, avrebbe potuto cedere alle suppliche del ragazzo, ma non poteva permetterlo. Doveva farlo, per il bene di entrambi. Non voleva in alcun modo essere tentato dal poterlo contattare, voleva che il ricordo di Jimin fosse il più lontano possibile dalla sua mente e dal suo cuore, ma allo stesso tempo, non ebbe la forza di disfarsene definitivamente.

Per questo aveva conservato quel telefono in quella scatola di scarpe e l’aveva portata con sè in ogni suo viaggio.

Lì dentro c’era il suo ultimo legame che aveva ancora con Jimin.

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