Chapter 42: La più bugiarda tra le regine

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[Daylight di David Kushner]

"Oh, I love it and I hate it at the same time
You and I drink the poison from the same vine."

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(Questo capitolo contiene toni più cupi rispetto agli altri. Alcune azioni descritte potrebbero risultare moralmente discutibili. I personaggi di questo romanzo sono completamente immaginari e possiedono una psiche complessa e frammentata; le loro azioni non sono in alcun modo giustificate.)

Chapter 42: La più bugiarda tra le regine

Adele

Davanti a me si trovava un edificio che sembrava quasi confondersi con il paesaggio circostante, una struttura modesta su due piani che passava inosservata. Era uno di quei tipici edifici delle periferie di Oxford, privo di particolari che lo distinguessero. La facciata in mattoni rossi, ormai scoloriti dal tempo, era interrotta da grandi finestre incorniciate da un bianco che aveva perso la sua brillantezza, ingiallito dagli anni. Le persiane, sebbene ancora bianche, avevano smarrito da tempo il loro candore originario. Questa zona era chiaramente lontana dalle eleganti residenze di altre parti di Oxford, quelle che emanavano un senso di ricchezza e prestigio. Ciò che avevo di fronte apparteneva a una realtà diversa, più umile e vissuta, lontana dal mondo delle ville in cui ero cresciuta, dove i giardini erano impeccabili e gli interni sfoggiavano un lusso secondo solo alle famiglie reali inglesi.

All'inizio non ci pensai troppo quando Theo, al telefono, mi parlò di questo posto come "casa sua". Mi ci volle un attimo per realizzare che stava parlando del famoso appartamento dove ogni tanto si rifugiava Archie. Nella mia mente, la casa di Theo era sempre stata la storica villa dei Lancaster, di cui Si diceva che un tempo fosse stata dimora di Warren Lewis, il fratello di C.S. Lewis. Nei grandi saloni, con soffitti affrescati e opere d'arte alle pareti, quello era in luogo in cui era cresciuto e rappresentava tutto ciò che immaginavo quando pensavo a lui: ricchezza, tradizione, e una storia che parlava di potere. Per me, quella era la vera casa di Theo, non certo un appartamento anonimo in città, incastrato tra locali notturni e piccoli supermercati aperti 24 ore su 24. Non riuscivo proprio a immaginarlo, Theodore Lancaster, in un posto come questo. Lui, che a sette anni aveva già imparato a cavalcare e e che a dieci già parlava tre lingue. Cresciuto tra lussi e privilegi, non era certo il tipo da frequentare luoghi che non gridassero esclusività. Quindi, vederlo legato a questo appartamento così normale, quasi insignificante, mi sembrava surreale.

Ma in quel momento, avevo un disperato bisogno di fuggire, e non avevo voglia di farmi altre domande. Non m'interessava approfondire ulteriormente quella sua dannata vita parallela. Mi limitai a seguire le sue istruzioni: uscii dall'auto, sentendo il rumore secco dei miei tacchi rimbalzare sull'asfalto freddo della notte, e afferrai con cura il bordo del mio vestito, cercando di evitare che il tessuto costoso strisciasse contro il marciapiede sporco. Il portone, pesante, era già socchiuso, come se stesse aspettando proprio me.

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