3 - Nova

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Lost In My Head – Devil's Cut

Tre mesi.

Tre lunghi mesi che percorro questo campus e, puntualmente, almeno una volta a settimana, devo perdermi. È come se avessi una bussola per l'aula o il dipartimento sbagliato. Tuttavia, quello di poco fa è stato un errore causato dalla fretta. Ho perso il primo bus e ho dovuto attendere il secondo, i treni erano fuori questione e la bici... diciamo che non era nemmeno da considerare. Di corsa, certa di essere nel dipartimento giusto, mi sono infilata in aula, al solito posto. È solo quando ho notato il professore accoglierci con un saluto che sono sbiancata. Perché al suo posto avrebbe dovuto esserci la professoressa Coleman e la lavagna avrebbe dovuto essere colma di concetti spagnoli, non strani simboli e numeri e... grafici? A quel punto, però, era troppo tardi e non mi sarei mai alzata davanti a un'intera classe informando il professore che mi ero sbagliata.

Per fortuna la prima campana non si fa attendere a lungo e ciò mi permette di raggiungere l'aula di spagnolo il più in fretta possibile. Il dipartimento di lingue dista altri cinque minuti a piedi; di conseguenza, correndo, riesco ad arrivare prima che la professoressa riprenda la lezione.

Prendo posto accanto ad Aura, affannata, e poggio la tracolla sul banco.

«Ma dove ti eri cacciata?!» bisbiglia la mia amica.

La guardo, scostando ciuffetti di capelli sfuggiti dalla treccia. «Ho sbagliato dipartimento.»

«Ancora?»

«Non è colpa mia. Ti ho avvisata che avrei potuto fare tardi a causa del traffico» bofonchio, intenta a tirar fuori alla svelta gli appunti.

«Del traffico, non di un altro dipartimento.» Sghignazza.

«Mi passi gli appunti dopo?» chiedo, ignorando il suo prezioso senso dell'umorismo.

Aura mi fissa con ovvietà, così sollevo una mano e porto l'attenzione sulla professoressa. Resta un'ora di lingua e linguistica spagnola, devo concentrarmi.

Quando la lezione si conclude, rilascio un sospiro e, insieme ad Aura, lascio l'aula.

«Cos'abbiamo dopo?» chiede la riccia.

«Storia contemporanea» rispondo. «Non sei contenta?»

«Da impazzire.» Aura alza gli occhi al cielo. «Preferisco di gran lunga sociologia della letteratura, sembra mille volte più interessante.»

«Perché lo è» concordo. Purtroppo, storia non mi ha mai fatto impazzire. Raggiungevo la B+, certo, ma solo perché sapevo di dover ottenere punteggi alti per l'università. Da un lato è affascinante, non lo metto in dubbio, ma immagazzinare così tanti concetti, teorie e guerre non è uno spasso. Dio, ci sono così tante guerre.

Raggiunta l'aula ci accomodiamo nelle prime file. Ho giusto il tempo di sciogliere la treccia prima che il professore si accomodi alla cattedra e inizi a illustrare la Rivoluzione Russa.

Aura sospira e comincia a prendere appunti. Sorrido, trattenendo a stento una risata. Per fortuna non è una fanatica storica e posso lamentarmi con lei di tutto ciò che fatico a ricordare.

L'ho conosciuta all'inizio della seconda settimana a Princeton.

Ricordo che la prima è stata estenuante e avevo occhi solo per la piantina del campus. Non che adesso la mia vita universitaria brulichi di amici, ma ogni tanto mi capita di salutare qualche conoscente. Aura, invece, ha attaccato bottone e non ha più smesso. È cominciato tutto da una lezione in comune; da lì, abbiamo iniziato a pranzare insieme, darci appuntamento davanti al dipartimento e organizzarci per lo studio. E ora eccoci qui, tre mesi più tardi, ancora unite.

Mi piace Aura, è un'ottima amica e capisce quando è il momento di commentare o meno determinate cose. Nonostante la parlantina, sa ascoltare, è divertente e il sarcasmo è la sua risposta a tutto.

Dopo gli anni al liceo e tutto quello che è accaduto al di fuori, sentivo il bisogno fisico di ricominciare daccapo e sento che Princeton è la mia occasione. Devo solo dare il meglio, ottenere un'intera borsa di studio e trovare posto in uno degli alloggi del campus. Aura condivide la stanza con una ragazza piuttosto simpatica, Halima. Viene dal Kenya ma la sua famiglia si è trasferita in America all'incirca sei anni fa. Princeton era il suo sogno. Studia architettura, il suo dipartimento è quasi attaccato al nostro, il che rende possibile, ogni tanto, riunirci per pranzo. Caratterialmente è l'opposto di Aura, e ciò rende divertente osservare le loro conversazioni. Perlopiù, Aura parla di continuo, balzando da un argomento all'altro e Halima annuisce o nega con il capo. Solo a quel punto riesce a pronunciare più di tre frasi consecutive prima che Aura riprenda.

È caotico il tempo che trascorriamo insieme ma è tutto quello che ho sempre desiderato. La normalità è un concetto abbastanza estraneo alla mia persona, ormai. Ecco perché credo che frequentare quest'università e buttarmi un po' a capofitto sull'esperienza possa aiutarmi ad abituarmi. Devo uscire dalla mia comfort-zone, esplorare, lasciare la mia camera.

Voglio solo godermi gli anni che tutti decantano come i più belli della loro vita e assaporare quello che mi sono persa.

A pranzo, tiro fuori il sandwich burro d'arachidi e marmellata che ho preparato ieri sera e una bottiglietta d'acqua. Aura mi osserva con scetticismo negli occhi. Non credo abbia abboccato alla storia del "non ho molta fame" che le rifilo da una settimana ma al momento è tutto ciò che otterrà. Sebbene aprirsi con qualcuno è più complicato di quanto facciano credere, ci sto provando con lei, davvero, è solo che determinati argomenti non sono così facili da esporre, richiedono tempo.

«Stamattina andavo di corsa» esordisce Aura, scacciando un riccio castano dal viso. «Stanotte sono rimasta a leggere fino a tardi e svegliarmi è stato faticoso, così ho dormito qualche minuto in più. Comunque, mi sono alzata, preparata e visto che erano le otto e un quarto ho realizzato di essere in ritardo.»

Svito il tappo e prendo un sorso d'acqua. «È bello sapere di non essere l'unica.»

«Per favore, Miss Perfettina, tu hai sbagliato dipartimento e sei arrivata comunque puntuale. È contorto, ma sensato.»

Concordo con un cenno del capo. È vero. Se non avessi sbagliato dipartimento a causa del panico di non arrivare in tempo, sarei giunta cinque minuti prima dell'inizio della lezione. Trafelata, ma puntuale.

«Ad ogni modo» gesticola Aura, «corro verso l'aula e mi scontro con un tizio. E prima che tu possa dire qualcosa, sì, mi sono scusata.»

Annuisco soddisfatta.

«Indovina chi era il tipo in questione.»

«Oh, no» borbotto, massaggiandomi la tempia destra con due dita. «June.»

Aura sgrana gli occhi. «Che? No, ma ti pare!»

Aggrotto la fronte, confusa. «Allora non ti seguo. Con chi ti sei scontrata?»

«L'Ombra» bisbiglia, furba.

«L'Ombra» ripeto piano.

Aura annuisce con vigore.

«Non è che hai sbattuto e non lo ricordi? Perché quello che dici non ha senso.»

«Andiamo, Nova! L'Ombra» ribadisce, entusiasta. «È stata letteralmente la prima cosa di cui ti ho parlato quando ci siamo conosciute. Nemesi. Nemesi White.»

«Nemesi White» mormoro. Ritorno a qualche mese fa, al momento in cui l'ho conosciuta, tuttavia il nome non mi dice nulla. «No, niente.»

«Sei impossibile.» Sbuffa. «Stiamo parlando di Nem—»

«Nemesi White, sì, l'hai già detto duecento volte.» Alzo gli occhi al cielo prima di addentare il mio panino. «E adesso, mentre continui a brontolare, vado a prendermi una banana.»

Lascio sola la mia amica e mi avvio al bancone, dove una fila di ragazzi muniti di vassoio attendono il pranzo. Un giorno spero anch'io di poter sperimentare il brivido di afferrare il mio vassoio e riempirlo con un pasto completo, uno che non mi costerebbe un rene al mese.

«L'Ombra...» bofonchio, «ma per favore.»

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