CAPITOLO DICIASSETTE

1.8K 72 23
                                    

La mattina seguente mi sveglio al suono assordante della sveglia che suona da dieci minuti ininterrottamente. Non so spiegare il perché, ma ogni santo giorno riesce a svegliare metà condominio tranne me. Mi alzo di malavoglia e la spengo anche se la mia volontà iniziale era più scaraventarla a terra e saltarci sopra distruggendola. Ma mi toccherebbe ricomprarne una nuova, e la tortura continuerebbe. So già che vincerà sempre e comunque lei. Quindi mi arrendo.

Raggiungo il soggiorno per provare a far uscire Bea dal mondo dei sogni. Ma naturalmente certe cose rimangono sempre come sono state. E il suo sonno è una di queste cose. Assomiglia più che a una normale ragazza addormentata a un orso bruno durante il letargo invernale.

Quando ormai ho perso le speranze di riuscire nel mio intento, mi dirigo verso la cucina sperando di poter almeno preparare la colazione prima di dover andare in redazione. Se non bevo un caffè al più presto rischio di passare per uno zombie assetato di cervelli. Ma è proprio in questo momento che qualcuno bussa alla porta. E io salto per lo spavento, maledicendo chiunque sia. Sento dall'altra stanza giungere dei rumori. Non so come faccia quella ragazza a continuare a dormire sotto un bombardamento atomico ma a svegliarsi per un semplice rumore alla porta.

"Vado io, tranquilla rimani pure a letto!" Urlo a Bea mentre già mi sto dirigendo verso l'ingresso. Sicuramente sarà qualche vicino che si lamenta ancora per la mia sveglia. Ma che ci posso fare se ho il sonno pesante? In ogni caso vorrei riuscire ad evitare tipi di incontri che assomiglierebbero molto a degli incontri di box. Così decido di aprire piano la porta e di fare in modo che Bea non possa vedere chi è che ha bussato.

E faccio bene. Perché il presentimento che avevo avuto era del tutto corretto. I miei dubbi vengono confermati dalla vista di un ragazzo in giacca e cravatta appoggiato al muro del corridoio di fronte alla mia porta. Appena apro mi rivolge un sorriso che mostra tutti e trentadue i suoi denti perfetti.

"Hey, avevo pensato di chiederti se volessi un passaggio. Sai in fondo dobbiamo comunque andare nello stesso posto..." Si ferma però appena nota come sono vestita.

"Ti prego. Dimmi che quello non è il tuo pigiama, e dimmi soprattutto che non hai intenzione di presentarti così questa mattina! Dannazione!"

"No, certo che no! Scusa è che mi sono svegliata un po' in ritardo. E poi ho gente a casa. Che ne dici di andare e di aspettarmi? Arriverò un po' in ritardo credo, scusa." Butta gli occhi al cielo. E mi guarda con un'espressione seria, troppo per i miei gusti.

"Va bene. Per questa volta ti darò una mano, ma se succederà un'altra volta sappi che non ti aiuterò più. Soprattutto se è perché hai qualche tuo amichetto a casa." E dicendo questo si volta e se ne va. Sono sbalordita dalle sue ultime parole. Che cosa significano? È geloso per caso? Ma no, è tutto troppo impossibile. Mi sto facendo io paranoie inutili. È ora di smetterla con questi pensieri senza alcun senso.

Rientro in casa, ma il mio cervello sta ancora rielaborando la conversazione appena conclusa. Penso di avere addirittura lo sguardo vacuo, perché Bea mi sventola una mano davanti al volto chiedendomi cosa sia successo. Mi devo concentrare intensamente su di lei prima di rendermi realmente conto di cosa mi abbia appena chiesto. Penso di sembrare una pazza in questo momento.

"Nulla, scusa." Scrollo la testa per essere più convincente possibile.

"Chi era?"

"Solo un vicino che si lamentava come al solito della sveglia che è troppo rumorosa a parer suo." Agito le mani in aria dirigendomi verso la camera da letto per potermi cambiare.

"Ma come? Io non l'ho nemmeno sentita!" Meno male che ci ha creduto. Tiro involontariamente un sospiro di sollievo. Ma lei fortunatamente non si rende conto di nulla. Questa volta è andata così.

Lacrime & DiamantiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora