CAPITOLO QUATTORDICI

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"Federica, cara, non ti senti bene?"

Devo proprio apparire orribile se addirittura la redattrice è preoccupata per la mia salute.

"No, veramente va tutto bene." Cerco di tranquillizzarla anche se il mio tono di voce appare incerto, così aggiungo un sorriso forzato appena concludo la frase sperando di apparire più convincente. Sono sempre stata nota per la mia incapacità nel mentire o nel nascondere anche solo parte della verità.

Colui che ho davanti agli occhi è l'ultima persona con cui vorrei passare del tempo. Più mi trovo lontano da lui meglio è. E invece, ora sarò costretta a passare quasi tutto il mio tempo con questo essere spregevole. Naturalmente non posso dire nulla nemmeno alla signora Cavendish. Dovrei spiegarle troppo. Tutto quello che vorrei tenere nascosto a chiunque. Perciò sarò costretta a non rivelare nulla, a fare finta di essere felice, o per lo meno indifferente. Sarebbe andata avanti, facendo finta di nulla. Si sarebbe dimostrata forte come non aveva mai fatto in vita sua prima di allora.

"Federica? Lavori qui?" Dannazione! Ma non può tenere quella sua boccaccia chiusa ogni tanto? Cosa gli costa? Ma naturalmente è troppo stupido per capire. Un'affermazione del genere non ammette fraintendimenti. Ci conosciamo già e questa ne è la dimostrazione palese.

"Vi conoscete già?" Naturalmente la direttrice non poteva non notarlo. Perché il signor Villa doveva proprio chiedermelo in inglese. Ma ha dimenticato l'italiano in questi brevi giorni? Non può parlare nella nostra lingua madre e non farsi capire?

Ma no, naturalmente deve tutto andare per il verso sbagliato. Altrimenti questa vita non mi apparterrebbe più se diventasse qualcosa di perfetto, o anche solo di non disastroso.

"Certo, ma non pensavo di poterlo trovare qui a New York. Non mi ha mai detto del suo desiderio di cambiare aria e di lasciare l'Italia." La donna mi fa un sorriso comprensivo che non intacca comunque tutta la sua compostezza, come ad indicare che ha capito. E lui mi rivolge uno sguardo interrogativo. Come a chiedermi se mi sono dimenticata dei nostri precedenti incontri in questa città distante un oceano da dove lui dovrebbe essere in questo momento. Per fortuna però non dà aria alla bocca. Per una volta ha capito che era meglio utile stare zitto. Menomale.

"Allora non vedo problemi a lasciarvi soli, cosicché iniziate da subito a lavorare."

Così ci congediamo dall'ufficio. Uscendo cerco di distanziarsi il più possibile da quello stupido. Ma lui non ne vuole sapere e mi si incolla.

"Ti prego, lasciami almeno lo spazio necessario per respirare." Sbottò irritata dal suo comportamento fin troppo infantile direi.

"Hey! Vedo che ti sei alzata con il piede sbagliato questa mattina..." Inizia a parlare in italiano e questo mi irrita ancora di più. Mi blocco improvvisamente e vedo con la coda dell'occhio che ce la mette tutta per non cadermi addosso. Mi giro verso di lui, e incastrando le mie iridi nelle sue provo a spiegargli un semplice concetto, che spero sappia tenere bene a mente.

"Allora, capiamoci. Tu non mi potrai rovinare la vita, nemmeno se ci metterai tutto te stesso per riuscirci. Quindi per prima cosa ti chiedo il piacere di smetterla di volermi mettere in imbarazzo. Non capisco cosa ti costi non fare battutine stupide. Secondo, e questo ficcatelo ancora meglio in quel cervellino minuscolo che ti ritrovi, noi non siamo nulla. Lavoriamo solo insieme perché siamo obbligati. Non siamo amici, e non pensare che potremmo mai diventarlo. Nemmeno se tutta l'umanità venisse sterminata e gli unici sopravvissuti fossimo noi. Preferirei incominciare a soffrire di problemi psichiatrici e parlare da sola, piuttosto che avere un qualsiasi rapporto con te. Quindi ti chiedo il piacere di comportarti da adulto, quale dovresti essere. Per lo meno è quello che la tua carta d'identità suggerisce. Dimenticati di tutto ciò che ti ricordi di me. Non sono più la ragazzina che hai conosciuto. Cancella qualsiasi ricordo di me, di noi."

Lacrime & DiamantiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora