Il gioco

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Il primo passo lo fece giustamente Teo che non sembrava minimamente turbato dalla vista di Mia, anche se ad un attento osservatore non sarebbe sfuggita la vena sul collo che pulsava veloce ed il movimento continuo delle sue lunghe dita sulla scrivania. «Si accomodi, signorina Di Porto, piacere: mi chiamo Teodoro» le disse porgendole la mano. Mia alzò lo sguardo verso di lui, ricambiò la stretta di mano, una stretta di mano decisa, forte, coinvolgente. Fu attraversata come da una scarica elettrica.

Il ghiaccio era stato rotto, se era quello il gioco a cui lui voleva giocare per lei andava bene, ma non era possibile che non l'avesse riconosciuta. Erano passati anni ma non era di certo cambiata così tanto: peccato, le sarebbe piaciuto riprendere il discorso da dove era stato interrotto. Del resto non si era mai del tutto dimenticata di quel feeling che si era creato immediatamente tra loro. E anche lì, nonostante lui facesse finta di non riconoscerla, lei sentiva che c'era qualcosa di strano nell'atmosfera.

Mia, con i suoi occhietti furbi, disse: «Tanto piacere di conoscerla, spero di potermi integrare nel suo team di lavoro. Sono disposta a mettermi in gioco, spero di non deluderla». "Brava Mia, molto professionale", disse tra sé e sé. Teo, con un sguardo guardingo, non fu da meno: «Non vedo l'ora di metterla alla prova, signorina: vista la situazione sarebbe il caso, se non le dispiace, di darci del tu. Per lei può andar bene?». «Certo, molto volentieri» rispose Mia, abbassando gli occhi leggermente imbarazzata: la infastidiva non poco questo teatrino, lei era una persona schietta e certe cose non riusciva proprio a sopportarle. Si ripromise che prima o poi avrebbe fatto in modo che la cosa venisse fuori: il gioco, di solito, è bello quando dura poco.

Non è poi così maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora