Sola al bar

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Mia non aveva la minima idea di aver avuto un'importanza tale per il suo professore: dopo un primo attimo di sgomento all'ingresso del bar, era entrata ed aveva deciso di sedersi e di aspettare, senza sapere cosa.

Sperava che il suo professore tornasse indietro per dirle che era tutto finto e che quello che aveva visto non era nulla.

Rimase ad aspettare diverse ore. Faceva tenerezza, seduta sola al tavolo: si vedeva chela sua era una posizione scomoda, occupava solo la punta della sedia di legno, la gamba le si muoveva con ritmo incalzante, osservava continuamente la porta d'ingresso mentre faceva finta di leggere gli appunti che per fortuna aveva tenuto in borsa.

Non dava pace ai suoi bei capelli, li tormentava: lo faceva sempre quando era nervosa. Ma le mani le sudavano e allo stesso tempo sentiva i brividi in tutto il corpo. Aveva passato il pomeriggio a rimuginare su quello che aveva visto, voleva chiarimenti, e poi era sicura: non lo avrebbe mai perdonato.

Erano ormai passate due ore, e dopo i tre cappuccini bevuti si era stancata: voleva andarsene, ma nel momento in cui stava per alzarsi si accorse che proprio di fronte a lei era arrivato il bel professore.

Si guardavano dritti negli occhi senza parlarsi, Mia riuscì a sostenere lo sguardo solo per un attimo, gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime: non riusciva a fermarle, solo lacrime silenziose e calde.

Nel loro silenzio era racchiuso tutto.

Il professore la portò fuori dal bar, cercò di toccarla ma Mia si sottrasse velocemente:avrebbe ceduto al suo tocco, lo sapeva, si conosceva.

Sembrava distrutto anche lui, era una situazione surreale, camminavano vicini in silenzio senza una meta e con il cuore pieno di dolore.

Il giovane filosofo sembrava aver perso tutta la grande sicurezza che lo caratterizzava.Era arrivata la sera e dopo aver camminato per diversi chilometri si fermarono a sedere sulla panchina isolata di un parco.


Non è poi così maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora