Il dolce vento d'aprile aveva riempito l'aria di Milano di profumi. Il sole era ancora pallido, ma ormai una nuova primavera si stava aprendo davanti agli occhi di Caterina.
La sua partenza era fissata per il giorno seguente, il ventisei del mese, e ormai tutti i suoi effetti personali erano stati sistemati per il viaggio.
Non avrebbe portato con sé armi, aveva deciso, se non il pugnale che teneva sotto le vesti. Si sarebbe fatta preparare una spada e forse anche un'armatura solo quando sarebbe arrivata a Imola.
Quell'ultimo giorno a casa, Caterina lo stava passando salutando tutti quelli che – probabilmente – non avrebbe più rivisto per molto tempo o forse per sempre.
Era passata dai soldati, che le avevano riservato un addio degno di un capitano valoroso. Addirittura qualcuno di loro, in particolare quelli che la conoscevano da più tempo, si erano commossi ed erano rimasti senza parole.
Vedere uomini grandi e grossi sciogliersi in lacrime per lei era stata una cosa che le aveva scaldato il cuore e che le aveva dato una sicurezza che non sperava di trovare.
Dopo ciò, anche se il giorno seguente li avrebbe comunque risalutati, si era presa il tempo di dire addio a ciascuno dei fratelli, nessuno escluso.
Con ciascuno di loro aveva qualcosa di particolare da dire e condividere, tuttavia non sentì il cuore stringersi come quando, invece, si trovò di fronte sua madre Lucrezia.
Era stato deciso che la donna non sarebbe stata presente alla partenza della figlia, per cui entrambe sapevano che quello era per loro l'ultimo momento per stare insieme.
Si strinsero l'una all'altra per molto tempo, senza bisogno di parlare. Tutte e due stavano ripensando ai momenti felici che avevano vissuto assieme alla corte di Milano e quei ricordi rendevano ancora più difficile la separazione.
Alla fine, Lucrezia allontanò un momento da sé la figlia e i suoi occhi chiari si specchiarono in quelli incredibilmente ramati di Caterina.
La donna le accarezzò con dolcezza la guancia e le sistemò una ciocca ribelle di capelli dorati dietro l'orecchio: "Sono certa che ci rivedremo, Caterina."
La ragazzina abbassò lo sguardo e aprì la bocca, cominciando a scuotere la testa. Voleva dirle che non ne era così sicura, che forse non si sarebbero riviste più, ma Lucrezia la zittì prima ancora che potesse parlare. L'abbracciò di nuovo e le sussurrò: "Sono davvero certa che ci rivedremo."
Caterina, allora, si lasciò cullare un momento dalle braccia lunghe e snelle di sua madre, che la coccolava come fosse una neonata.
Il tempo passò più veloce del previsto e quando dovettero lasciarsi una volta per tutte, si tennero strette ancora un po', e poi si allontanarono.
Caterina stava già per lasciare la stanza in cui erano rimaste tutto il pomeriggio, quando la madre le afferrò con urgenza il polso, fermandola per dire: "Ricordati sempre chi sei, Caterina, non chi ti hanno fatta diventare. Sei una Sforza e la sarai sempre."
La ragazzina poggiò la mano su quella della madre, invitandola a sciogliere la presa: "Me lo ricordo, non temere."
Detto ciò, le due si lanciarono un ultimo sguardo malinconico e si dissero un 'a presto' che aveva il sapore di un addio.
Con Bona, l'addio arrivò a tarda notte.
Caterina non riusciva a dormire e nemmeno a stare coricata, perciò misurava a grandi passi la sua stanza, ormai spoglia, chiedendosi che ne sarebbe stato di lei nei giorni che l'aspettavano.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historische RomaneCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...