Capitolo 92: Il recluso

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Per tutta la prima giornata di viaggio Caterina Sforza non riuscì a pensare ad altro se non a come uccidere il marito non appena lo avesse rivisto.

Nei giorni a venire non fu meno assorta nei suoi pensieri, anche se quel primo istinto omicida e distruttivo si stava lentamente sgretolando contro un incrollabile rigore logico che la stava portando a valutare altre soluzioni.

Quando gli uomini della sua scorta cercavano di farle qualche domanda o di sapere meglio cosa fosse successo a Forlì, ella non rispondeva o li liquidava con poche brevi parole, facendo capire a tutti che non era il momento di irritarla.

Come deciso alla partenza, non fecero soste, se non le poche indispensabili per rinfrescare i cavalli o dormire qualche ora.

I medici che Ludovico aveva prestato alla nipote non sapevano come regolarsi. Erano dottori di corte, non di campagna, e tutto quel cavalcare li stava stremando come mai avrebbero creduto possibile.

Quando uno di loro provò ad accennare questo fatto alla Contessa Riario, quella gli rispose che se il viaggio era per lui troppo faticoso, poteva tornarsene comodamente a Milano, facendo tutte le soste che voleva e soggiornando nella locande più lussuose.

Al che i medici, temendo la reazione di Ludovico, che aveva già anticipato loro un'ingente somma come ricompensa per i loro servigi, smisero una volta per tutte di lamentarsi.


Quando Imola fu a meno di un'ora di viaggio, Caterina cominciò a sentirsi stranamente agitata.

Quando se n'era andata da Forlì, dopo tre giorni di penitenza e confusione mentale, non aveva pensato davvero a come sarebbe stato ritornare.

Si sentiva profondamente in colpa, nei confronti dei suoi figli, e estremamente riluttante all'idea di rivedere suo marito.

Temeva la reazione che avrebbe potuto avere Ottaviano, e, chissà, forse anche Cesare e Bianca l'avrebbero trattata con freddezza e risentimento. I più piccoli non erano ancora abbastanza alti da poter capire bene cos'era successo, ma i tre maggiori...

"Contessa, state bene?" chiese uno degli uomini della scorta, avvicinando il proprio cavallo a quello di Caterina.

Ormai Imola era davanti a loro e si faceva a ogni metro più definita. Caterina sapeva che non poteva più tornare indietro.

"Tutto a posto. È solo il caldo." si affrettò a dire, dando la colpa al sole infuocato di quel maggio.

L'uomo della scorta annuì, poco convinto, e le chiese quali fossero i piani una volta arrivati in città.

"Mi scorterete a palazzo e poi sarete in congedo fino a quando la corte non tornerà a Forlì." disse Caterina, con un profondo sospiro.

Il soldato chinò il capo in segno di rispetto e ritornò al suo posto.


"Contessa!" esclamò Matteo Menghi, con un'espressione strana in volto. Appariva sia sollevato sia sorpreso, come se fosse certo di rivedere la Contessa, ma non di rivederla così presto.

"Portatemi da mio marito, subito." ordinò Caterina, levandosi un po' di polvere dal vestito e facendo segno ai medici di Ludovico di seguirla.

Menghi non perse tempo e l'accompagnò alle stanze private del Conte. La porta era chiusa, ma si poteva comunque sentire una sorta di gemito al di là del legno spesso.

"Forse non è un buon momento..." provò Menghi, allargando le braccia: "Ci sono giorni in cui non si lascia avvicinare nemmeno dai suoi figli... Nemmeno da me!" aggiunse, per sottolineare la gravità della situazione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora