"Mi dovete tirar fuori da questo pasticcio, Capitano!" vociò Leone Cobelli, aggrappandosi alle sbarre della cella: "Se non fosse stato per voi, io non sarei qui!"
Tommaso Feo guardava l'artigiano senza riuscire a parlare. Non si era aspettato una reazione tanto dura da parte della Contessa.
Quando aveva saputo che tutti i più convinti delatori della falsa notizia circa il matrimonio erano stati messi in cella – anzi, uno particolarmente arrogante e riottoso, fedele sostenitore degli Ordelaffi, era anche stato impiccato da Babone in pubblica piazza – si era immediatamente sentito responsabile, anzi, colpevole.
Anche in quel momento, mentre Leone lo aggrediva a parole, non potendo farlo a suon di pugni, Tommaso si sentiva un essere molto infido e ignobile. Aveva messo in giro quella voce a cui lui stesso non aveva mai creduto, e lo aveva fatto solo per...
Non sapeva nemmeno più lui perché l'aveva fatto.
"Tommaso! È vostro preciso compito tirarmi fuori di qui!" ribadì Cobelli, con un colpo al ferro della sbarra e battendo un piede in terra.
Nel buio delle segrete della rocca la sua voce rimbombava in modo spettrale.
Il Capitano Feo annuì appena e promise: "Farò quello che posso."
Leone Cobelli non si accontentò di quella tiepida affermazione e continuò a gridargli contro, mentre il castellano ormai, nauseato dal tanfo della prigione, aveva cominciato ad allontanarsi.
Forse anche a lui sarebbe toccata la sorte di Cobelli, forse anche lui sarebbe stato chiuso in un di quelle segrete, dunque doveva starne lontano, almeno finché gli era concesso.
Tornata a Forlì assieme alla famiglia e ai servitori, Caterina volle per prima cosa vedere di persona Leone Cobelli.
In realtà il loro incontro non servì ad altro se non a inasprire l'antipatia che nutrivano l'uno per l'altra. Per quanto uno storiografo debba essere imparziale, Cobelli non riusciva a giudicare con distacco la Contessa. La trovava troppo sprezzante e incredibilmente piena di sé.
Come aggravante, era certo che tutta la sicurezza che ostentava con tanta vanità fosse solo una maschera, indossata per celare una grandissima fragilità.
In ogni caso, comunque, non avrebbe mai potuto provare empatia per una donna che voleva metterlo ai ceppi solo perché lui aveva ripetuto una voce messa in giro da quel fanfarone di Tommaso Feo.
Caterina pose molte domande allo storico, cercando invano un appiglio per scagionarlo dalle accuse che gli erano state mosse. L'uomo, però, non collaborava, anzi, rispondeva in modo piccato e incompleto, arrivando anche a provocarla apertamente più di una volta.
Uscita dalle segrete, la Contessa era ormai decisa a dare a Babone l'ordine di impiccare anche Cobelli che, con le sue parole taglienti, pareva molto più fedele ad Antonio Maria Ordelaffi che non a lei.
Mentre stava camminando velocemente verso il ponte, per andare dal bargello che l'attendeva al palazzo, il castellano Feo riuscì a intercettarla e a fermarla.
"Mia signora...!" disse, per farsi notare.
Caterina rallentò, senza smettere di camminare. Tommaso, allora, si affrettò a raggiungerla, prima che la donna uscisse dalla rocca. Come castellano, lui non poteva lasciare il perimetro disegnato da quelle spesse mura e la sua signora lo sapeva.
"Vi prego, Cobelli non ha colpe. Liberatelo." pregò Tommaso Feo, continuando a seguire la Contessa che non accennava a fermarsi: "Lasciatelo libero e non commetterà mai più un simile errore... È solo stato superficiale e avventato...! Non credeva di farvi un danno a parlare liberamente. Era convinto che il matrimonio ci sarebbe stato. Non l'ha sentito dire solo da me, ma anche da persone che sono vicine all'Ordelaffi, non potete..."
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...