Capitolo 101: Sforzino

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"È la seconda volta che vi risparmio la vita, non ci sono molti uomini che possono ritenersi fortunati quanto voi." disse Caterina, non appena lei, Codronchi e la scorta furono lontani dai confini di Forlì.

Codronchi, che cavalcava curvo e scuro in viso, non commentò.

"Aggireremo Faenza. Mentre saremo nei boschi, voi ve ne andrete per la vostra strada, come avevamo deciso." proseguì Caterina, a voce più bassa: "E di voi non voglio sentire parlare mai più. Sono stata chiara?"

Codronchi annuì e le dedico una rapida occhiata.

Così, quando presero la solita strada tra le piante fitte che circondavano le terre dei Manfredi, a un certo punto la Contessa fece fermare il piccolo drappello di uomini e diede ordine a Codronchi di allontanarsi.

Questi, portando con sé unicamente il cavallo, pochi soldi e i soli vestiti che aveva indosso, si congedò con un rapido cenno del capo e cominciò a cavalcare in direzione opposta rispetto alla città di Faenza.

Appena fu abbastanza lontano da non essere più visibile, ma ancora abbastanza vicino da poterne sentire il rumore degli zoccoli del suo cavallo che battevano in terra, Caterina chiamò a sé uno dei soldati che la scortava e disse: "Seguitelo e assicuratevi che non torni indietro."


Caterina Sforza e il suo seguito arrivarono a Imola la sera del 16 agosto.

Girolamo aveva passato i giorni di lontananza della moglie preda di uno stato d'ansia inconsolabile, ma rivederla sana e salva lo aveva rincuorato immediatamente.

Tuttavia, la moglie lo sfuggì, quella sera, andando a chiudersi nelle sue stanze e facendo d'urgenza chiamare un medico e la levatrice.

Passò l'intera notte in compagnia dei dolori del travaglio. Il bambino sembrava impaziente di nascere, eppure le ore si inseguivano e di lui non c'erano ancora tracce.

La levatrice cercava di fare coraggio alla Contessa, e così facevano anche il medico e due delle balie, che avevano insistito per essere presenti.

Il sole del 17 agosto era sorto da circa due ore quando, finalmente, la levatrice poté, con una certa soddisfazione, prendere tra le proprie mani il neonato annunciando: "Un altro bellissimo maschietto!"

Dopo aver tagliato il cordone e sistemato ogni cosa, la levatrice pose tra le braccia di Caterina il nuovo nato e le chiese, con un sorriso: "Questo come lo chiamerete, mia signora?"

La donna, ancora provata dai giorni appena trascorsi in Forlì e stremata per la lunga notte di travaglio, strinse a sé il piccolo e lo guardò un momento.

Si ricordò di come quel bambino avesse lottato con tutto se stesso pur di venire al mondo. Le aveva impedito di ucciderlo con una pozione, aveva resistito al viaggio a Milano, al ritorno rocambolesco verso Imola ed era stato con lei nei concitati giorni delle rivolte di Zaccheo prima e di Codronchi poi...

"Lo chiamerò Francesco Sforza." annunciò, a voce bassa.

Le labbra della levatrice si aprirono in un'espressione di divertita sorpresa, mentre il medico, enormemente sollevato nel vedere che il bimbo stava bene malgrado la madre fosse reduce da una lunghissima cavalcata, si affrettava a congratularsi per la scelta.

Una delle due balie scoppiò a ridere di gioia, commentando: "Ma che bello! Lo chiameremo Sforzino!"

"Il piccolo Sforzino! Mi piace!" esclamò la seconda balia, avvicinandosi al neonato per vezzeggiarlo.


Il corpo di Melchiorre Zaccheo venne ripescato dal fossato della rocca, in cui era stato gettato da Vincenzo Codronchi, su ordine di Tommaso Feo e fatto seppellire nella chiesa dei Frati Predicatori.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora