I vicoli di Genova erano deserti. L'unico rumore che si sentiva in città era dato dal battere incessante degli zoccoli dei cavalli lanciati nelle loro folle corsa verso la fortezza di Castelletto.
Solo lì Paolo e suo figlio, Fregosino, e i pochi uomini che ancora li seguivano avrebbero potuto trovare la salvezza.
I Fieschi e gli Adorno avevano solo fatto buon viso a cattivo gioco o forse, più semplicemente, avevano deciso di darla vinta a Milano senza più opporsi, nemmeno a parole.
Addirittura Battista Fregoso, loro parente, si era unito ai nobili rinsaviti e si era messo ad appoggiare strenuamente la posizione degli Sforza, auspicando una rapida risoluzione dei conflitti.
Paolo Fregoso si era così visto cadere addosso tutto il suo mondo. Dall'essere l'uomo più importante per Ludovico il Moro a Genova, ora si trovava a ricoprire la scomodissima posizione di ricercato e ribelle.
Prima il reggente del Duca aveva fatto sì che il suo Fregosino sposasse Chiara Sforza – una mela marcia, secondo Paolo – spingendolo subito a combattere per lui a Novi, strappando una città fondamentale per il controllo delle terre genovesi.
Ora, con una beffa, i fiorentini avevano soffiato Sarzana al Moro, e questi, con maestria, aveva sfruttato la sconfitta annunciata per isolare Paolo Fregoso, mettendogli contro anche i Fieschi e gli Adorno, comprati a suon di monete.
Gli stessi Fieschi e Adorno che ora li stavano inseguendo senza sosta nelle strade più strette della città.
"Avanti, avanti!" incitava Fregosino, guidando la colonna di fuggiaschi.
"Non fateveli scappare!" sbraitava a qualche metro di distanza Agostino Adorno, tronfio per il nuovo titolo di Governatore di Genova che il Moro gli aveva affibbiato per tenerlo calmo.
"Forza!" gridò ancora Fregosino, alzando in aria la spada, come a guidare i suoi verso la fortezza.
Paolo lo seguiva, esattamente come gli altri, fidandosi ciecamente di lui. Era lui quello giovane, quello che aveva la testa e la prontezza necessarie per cavarsela in quella fuga.
Avevano dato battaglia per oltre mezza giornata, ma era stato chiaro che sarebbero morti invano, se non avessero deciso per la ritirata. Dunque Paolo non si era opposto e tutti quanti avevano cominciato a scappare.
La fortezza di Castelletto cominciava a intravedersi, in lontananza, sotto al sole cocente di quell'8 agosto e Paolo sentì il cuore riaprirsi nel petto.
Là c'erano soldati che non l'avrebbero mai tradito. Forse sarebbe stato comunque il preludio della fine, ma almeno non sarebbe morto quel giorno.
"Avanti!" ululò ancora una volta Fregosino, gli occhi stretti nel fendere l'aria con la sua incredibile velocità e, nel cuore, la sola speranza di vivere abbastanza da poter rivedere almeno una volta sua moglie.
Suo padre non aveva mai capito Chiara. La riteneva una sciocca, una donna volubile e permalosa, ma non lo conosceva...
Se fossero usciti vivi da quella giornata infernale, avrebbe avuto modo di avvicinarsi a lei con un altro spirito. Quando avesse scoperto che quella donna meravigliosa era stata tanto coraggiosa da agire da sola, mentre loro combattevano, assicurando loro una via di salvezza...
"Avanti! Veloci!" ringhiò Fregosino, sempre in testa ai suoi, sperando di raggiungere la fortezza prima di essere ricatturato dagli Adorno e dai Fieschi.
Dato che il caldo non demordeva per nessun motivo, una volta partito il Cardinale Sansoni Riario, Caterina decise di trasferirsi per qualche settimana nella villa che tutti chiamavano Giardino, in aperta campagna.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Ficção HistóricaCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...