Il cardinale Pietro Riario arrivò a Milano a settembre, seguito da una folta schiera di guardie e servitori, mostrando ai milanesi tutti lo sfarzo di cui era capace Santa Madre Chiesa.
Il corteo d'oro e porpora attraversò la città in una giornata di nebbia fitta e umida, come non se ne vedevano in settembre da anni. Il cardinale non apprezzò molto quel clima, anzi, quel manto grigio e bagnaticcio gli fece desiderare un pronto ritorno nella tiepida Roma.
Non si perse a salutare la folla, né volle incontrare quei pochi questuanti che, saputo della sua visita, avevano chiesto di poterlo incontrare affinché egli potesse intercedere presso il papa suo zio e convincerlo a concedere questo o quel favore.
Pietro era un uomo ancora giovane, benché il suo viso fosse già segnato dalle preoccupazioni e dai vizi.
Aveva una grande attitudine allo studio e in tal senso sopperiva le mancanze del fratello, mentre entrambi erano a Roma. Conosceva a fondo le lingue antiche e molte delle moderne, era un grande esperto di Chiesa e religione, ma anche di amministrazione pubblica e politica. Insomma, era il cardinale che ogni papa avrebbe voluto.
Quella visita a Milano aveva un duplice scopo. Da un lato Pietro voleva conoscere la ragazzina che avrebbe portato il nome Sforza in famiglia, e dall'altro voleva assicurarsi che tutto fosse stato fatto come si doveva e che il Duca fosse sempre deciso a tenere viva l'alleanza.
Per quel che riguardava il Duca, il suo entusiasmo – anche se solo di facciata – fu ampiamente dimostrato con feste e ricevimenti degni di un imperatore. Il cardinale non ebbe quasi tempo di respirare, al suo arrivo, tanti erano gli impegni mondani che lo Sforza aveva preparato, facendo fronte a una spesa non indifferente.
Quando finalmente Pietro riuscì a vedere da vicino Caterina Sforza, prima di tutto fu colpito dalla straordinaria bellezza della giovane. Era molto meglio di come gli era stata descritta.
Tuttavia notò quasi immediatamente un'altra discrepanza con le descrizioni che gli erano state fatte.
Tutti quelli che avevano descritto la giovane Caterina Sforza l'avevano dipinta come una ragazzina sempre vestita da maschio – ma fin qui, si disse il cardinale, poteva essere che l'avessero vestita in modo più consono per riguardo alla sua carica ecclesiastica – con qualche arma per le mani, accaldata e intenta a combinare qualche guaio, più incline a menar le mani che non a fare le riverenze. Dicevano di lei che non trovasse pace, che avesse sempre un sorriso sveglio in volto e che i suoi occhi fossero illuminati dalla più viva intelligenza e vitalità.
Quella bambinetta, invece, era aggraziata e gentile, sorridente, sì, ma in modo scialbo, anonimo, come mille altre. I suoi occhi erano lontani, non lo vedevano davvero, e soprattutto tenevano ben nascosta quella scintilla vitale che tanto gli era stata decantata...!
Si muoveva con lentezza ed eleganza, senza mai lasciarsi scappare un gesto fuori posto o un segno di irascibilità.
Insomma, quella non era la Caterina che gli era stata descritta.
Pietro non riusciva a capire se la differenza fosse dovuta a cattivi descrittori o a un cambiamento improvviso nella bambina. Poteva essere che fosse tesa per la presenza di una cardinale...
Eppure tutte quelle dicerie per cui 'tra tutti i figli del Duca Sforza l'unica con lo spirito dei compianti Bianca Maria e Francesco è la piccola Caterina' gli erano parse credibili...
Caterina osservava con ribrezzo il cardinal Riario, seduto poco lontano da lei.
L'uomo mangiava con voracità il pollo arrosto che era appena stato servito e sorrideva mellifluo a tutte le donne che incrociavano il suo sguardo.
Il modo in cui il grasso del pollo gli creava dei rivoli sulle labbra e il riverbero delle candele sulla sua testa quasi pelata davano il voltastomaco alla bambina, che, però, si sforzava di ricambiare tutti i sorrisetti che il prelato le mandava.
La trovava una situazione grottesca. Quell'uomo così viscido e vizioso aveva dovuto ricevere un'accoglienza degna di un papa, e loro dovevano anche far finta di essere contenti della sua presenza...
Addirittura lei era stata costretta a recitare in sua presenza una poesia, idea di Cicco Simonetta, che più di tutti teneva a quell'incontro.
E poi si erano inseguiti i balli, gli spettacoli e le cene. Quella doveva essere l'ultima della serie, se davvero il Cardinale era deciso a ripartire il giorno seguente.
Caterina sperava davvero che quello fosse l'ultimo banchetto in onore del porporato, perché la sua resistenza stava raggiungendo il limite.
Sua madre Bona – Lucrezia non presenziava con la famiglia, non davanti a un religioso di quella levatura, per l'amor di Dio! – non aveva detto mezza parola in tutta la cena e sembrava molto nervosa.
Bona era di indole tanto docile che vederla in quello stato allarmava Caterina. Temeva, o forse sperava, che prima della fine del pasto si sarebbe fatta coraggio e avrebbe detto qualcosa, magari anche solo una frecciatina, al fratello dell'uomo che aveva osato oltraggiare la sua figlia di nove anni.
Galeazzo Maria, scuro in volto, ma volenteroso, si sforzava di far conversazione, cercando in modo vago di informarsi il più possibile sulla situazione di Roma e di papa Sisto IV.
"E Caterina, nostra diletta cognata..." disse a un certo punto il cardinale, rivolgendosi direttamente alla bambina: "Abbiamo sentito molte belle cose su di voi. Su quanto siete obbediente e rispettosa..."
Caterina dovette frenare l'impulso di guardarlo male, perché non poteva permettergli di rovinare la sua recita. Sentì i muscoli mimici contrarsi in modo innaturale e la sua voce cinguettare: "Siete troppo buono, cardinal Riario."
"Quel che è dovuto, è dovuto!" esclamò l'uomo, con una sonora e sgrezza risata che tradì in un attimo la sua bassa estrazione.
Tutti i presenti cercarono di seguirlo in quell'esternazione di allegria, ma ne uscì un quadretto abbastanza triste.
Il cardinale non vi fece troppo caso e proseguì, un po' più serio: "Aspettiamo tutti con ansia il momento in cui voi e nostro nipote Girolamo possiate finalmente essere uniti davanti agli occhi del mondo, al compimento del vostro quattordicesimo anno."
Caterina stava per esplodere. Come poteva quel criminale parlarle così, davanti a suo padre, che sapeva la verità? E come poteva suo padre non fare nulla per difenderla?
Ah, già. Si era dimenticata che nessuno l'avrebbe mai più difesa. Era sola, sola contro il mondo, doveva ricordarselo sempre. Era una Sforza, poteva farcela.
"Anche io aspetto con ansia quel momento, vostra eminenza." fece Caterina, abbassando gli occhi, nella speranza di sembrare solo una ragazzina modesta e spaurita.
"Bene, bene..." disse il cardinale, battendo le mani con forza: "Imola vi piacerà, anche se dubito che nostro fratello ci vorrà passare molto tempo... E quando sarete sotto il tetto coniugale romano – aggiunse – dovrete per forza venire a trovarci spesso. Anche il papa vi vorrà conoscere. Sarete una vera madonna romana! Dio sa quanto il papa ami le madonne romane!" E giù un'altra imbarazzante e grossolana risata.
Quell'allusione aveva creato il gelo. Galeazzo Maria, che stava mangiando un pezzo di carne, per poco non si soffocò col boccone. Caterina non sapeva come rispondere e lasciò che fosse qualcun altro a parlare. Con voce flebile, inaspettatamente, fu Bona a dire qualcosa, anche se si trattava solo di un misero tentativo di cambiare discorso: "Dicono che a Roma il clima sia più clemente che a Milano. È davvero così?"
Tutta l'ilarità scomparve dal viso arrossato dal vino e dalle risate del cardinal Riario. L'uomo inarcò le sopracciglia e bofonchiò: "Sì, direi proprio di sì..."
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Ficción históricaCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...