Lorenzo Medici era pensieroso. Teneva tra indice e medio una brevissima lettera giunta quella mattina da Forlì e non si era ancora deciso a distruggerla.
Il suo uomo lo informava del crescente malcontento dei loro alleati e lo spronava a decidersi per comandare il colpo e, soprattutto, a permettere un'azione decisa e violenta anche nei confronti della Contessa Riario.
Per quanto Lorenzo comprendesse i motivi che avevano portato il suo infiltrato a scrivergli quelle parole, ancora non riusciva a risolversi.
Negli ultimi giorni aveva avuto la conferma del fatto che Franceschetto Cybo, il suo odiatissimo genero, era riuscito nel deprecabile intento di dissipare in pochi mesi tutta la dote di Maddalena e che quindi, ormai, non aveva più nemmeno un soldo in tasca.
La soluzione sembrava ovvia. Sollevando Forlì contro i suoi signori, Lorenzo avrebbe potuto disporre di quella città come voleva, una volta uccisi i Conti.
Dopo aver usato i suoi infiltrati per ottenere il potere, gli sarebbe bastato trovare una scusa e farli destituire dal papa in persona e lo stesso Innocenzo VIII avrebbe messo il suo maledetto figlio a comandare su quelle terre.
Se un inetto come Girolamo Riario era riuscito a sopravvivere fino a quel giorno campando sulle spalle dei forlivesi, di certo ce l'avrebbe fatta anche Franceschetto.
Ovviamente non avrebbe detto a nessuno di questa sua idea, tanto meno ai suoi alleati in Forlì.
Dovevano pensare fino all'ultimo che la città sarebbe andata a loro, altrimenti non avrebbe avuto più nulla con cui comprarsi la loro lealtà.
Lorenzo rilesse un'ultima volta le parole scritte di fretta sulla missiva e poi la stracciò e gettò i pezzetti nel fuoco.
Prese il necessario per scrivere e, con la morte nel cuore, si disse favorevole ad assecondare i suoi complici, a patto che trovassero il modo di sollevare il popolo in modo plateale, così plateale da convincere tutta Italia della sincerità dell'odio dei forlivesi verso i Riario.
Quando Franceschetto Cybo sarebbe stato nominato nuovo signore di Forlì, nessuno avrebbe dovuto vederci dietro una mossa politica, ma solo un atto di generosità e filantropia.
"Stai agendo senza ragionare, fratello!" disse Checco Orsi, guardando Ludovico che, da quando il Conte Riario si era impuntato sulla storia delle tasse da far pagare ai possidenti, aveva frequentato la corte sempre più di rado.
"Che ci posso fare?! Appena lo vedo, mi viene voglia di prenderlo a schiaffi...!" si difese Ludovico, battendosi una mano sul petto, lasciato scoperto dalla giacca sbottonata.
"Ma se non ti fai mai vedere, capisci anche tu che potresti insospettirlo." proseguì Checco: "Anche se è tornato a fare la voce grossa, quello resta sempre un paranoico ignorante. Ci metterà un minuto a sospettare anche di te. L'ombra del dubbio è pericolosa quanto la certezza di colpevolezza."
Ludovico fece un gesto spazientito e buttò lì: "Gli dirò che sono stato malato. Non potrà certo sindacare anche sulla mia salute. Piuttosto, l'ultima volta che l'ho visto, mi ha chiesto indietro i soldi che ci ha prestato."
Fu la volta di Checco di alterarsi: "Ancora?! Ma che...!" poi sospirò: "Quando sarà morto, gli interesseranno meno i soldi che ci ha prestato. Comunque..."
Ludovico guardò il fratello, che aveva stretto gli occhi e si stava massaggiando il mento. Aveva in mente qualcosa, poco ma sicuro.
"Sai, fratello, potremmo usare questa cosa del prestito a nostro favore." disse lentamente Checco, mostrando i denti in un ghigno sinistro.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...