Capitolo 6: Promessi sposi

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"Negli annali non rimarrà nessuna di queste cose, mio signore. Faremo risultare che noi e i Riario Della Rovere abbiamo solo stipulato la promessa, per poi celebrare le nozze e procedere con tutti gli annessi e connessi solo al compimento del quattordicesimo anno di Caterina. Così come abbiamo fatto con vostra sorella Elisabetta." lo rassicurò Cicco Simonetta: "Così il nome degli Sforza resterà immacolato nei secoli."

Galeazzo Maria ormai non parlava più. Si limitava a starsene seduto tutto storto, una mano sul viso e l'occhio che ogni tanto correva verso il cancelliere, come a controllare che stesse davvero ancora parlando e che non fosse tutto un brutto sogno.

"In fondo non abbiamo scelta, lo sapete bene quanto me." continuava Simonetta, ormai più rilassato: "Ci è stato lanciato un ultimatum e noi potevamo solo accettarlo e cercare di uscirne col minor scorno possibile."

Il Duca persisteva nel suo silenzio. Lo stomaco gli si torceva, perché era stato davvero sicuro che alla fine Gabriella avrebbe ceduto. E invece quella gallina aveva subito scritto ai suoi parenti Gonzaga, che si erano immediatamente detti pronti a sostenerla, in caso di bisogno. E se c'era una cosa che a Milano proprio non serviva, era una sollevazione capitanata dai Gonzaga...

Simonetta ormai sapeva che, pur con riluttanza, la decisione era stata presa e quindi si permise di giocare un poco con la preda che aveva messo in trappola. Non lo fece per cattiveria pura, ma solo per rifarsi almeno in parte di tutte le angherie che il giovane Duca gli aveva riservato nel corso del tempo.

"Suvvia, mio signore, non siate così cupo..." sorrise, alleggerendo il tono: "In fondo Caterina è una ragazzina molto bella e pure sveglia. Il suo carattere è forte, come era quello di vostra madre Bianca Maria, alla quale assomiglia in indole e comportamenti ogni giorno di più. Si riprenderà presto da tutta la questione del matrimonio e, ne sono più che certo, tra qualche anno sarà lei stessa a desiderare un nuovo incontro con il marito!"

"Cicco, attento a voi!" scattò Galeazzo Maria, riprendendo improvvisamente vigore e mettendosi in piedi, la schiena dritta e i muscoli tesi: "È della mia prima figlia che state parlando! Della mia figlia prediletta!"

"No – lo contraddisse Simonetta con forza, osando, per la prima volta da anni, tenere testa al suo signore – io sto parlando della ragion di Stato, di come porre rimedio a un vostro gigantesco errore e della salvezza di noi tutti!"

Galeazzo Maria sbollì all'istante, gli occhi sbarrati e il naso prominente che vibrava ad ogni respiro.

Passarono lunghi minuti, duranti i quali al cancelliere parve di congelare, in quella stanza disadorna e fredda, con pergamene al posto dei vetri alle finestre. A volte odiava quel palazzo, così rustico e militaresco...

"Se questo matrimonio dovesse per noi risultare nel tempo inutile, o, ancora peggio, dannoso..." prese parola il Duca, con un tono distante: "State pur certo che pagherete con la vita. O peggio."

"Peggio, signore?" domandò Simonetta, confuso.

"Sai di cosa sono capace e sappi che non mi tirerò indietro quando sarà il tuo turno, Simonetta." concluse il Duca, non celando la minaccia sottesa alle sue parole: "E ora sparisci, scrivi a quel maledetto quello che vuoi, ma non mostrarti entusiasta, fa solo capire che non abbiamo altra scelta e che quindi..."

Simonetta non ebbe bisogno di altre indicazioni. Chinò appena il capo e prese qualche foglio e il necessario per scrivere. Il Duca non si mosse da dove stava, per cui toccò al cancelliere trovare una stanza che non fosse il suo studio per adempire alla corrispondenza.


"Chi era la donna che stamattina è andata a parlare con il cancelliere?" chiese Bona corrugando la fronte.

Lucrezia, che stava seduta nell'alcova della finestra per sfruttare l'ultima luce del breve pomeriggio invernale e leggere ancora qualche minuto, rispose subito: "Gabriella Gonzaga, era qui perché si è opposta alle nozze tra sua figlia e il nipote del papa, sai quel Girolamo Riario che arriva da Savona..."

Bona annuì, anche se in realtà non aveva idea di chi fosse di preciso quell'uomo che aveva causato tanto scompiglio nel loro palazzo per mezzo delle urla e delle recriminazioni di Gabriella Gonzaga.

"E come mai si oppone al matrimonio? Lei stessa è figlia naturale e dovrebbe essere felice che sua figlia, di certo non così appetibile come altre giovani, abbia trovato un partito così importante..." rifletté Bona, andando a sedersi di fronte a Lucrezia.

Questa, spostando una ciocca di capelli biondi che le era scesa sulla fronte, chiuse il libro che stava leggendo e riferì: "Pare che lo sposo non voglia attendere la maggiore età della povera figlia di Gabriella per avvalersi dei suoi diritti coniugali."

Bona parve contrariata da quell'affermazione: "Dal nipote del papa questo non me lo aspetterei..."

"Si tratta di un giovane uomo di nemmeno trent'anni, che passa i giorni e soprattutto le notti a spendere soldi non suoi e che ama molto la compagnia femminile, senza farsi tante domande sull'età delle sue compagne occasionali..." proseguì Lucrezia, con un sospiro: "Nipote del papa o meno, la fortuna improvvisa che l'ha travolto gli ha fatto perdere di vista qualsiasi schema morale..."

Bona osservò la donna che le stava di fronte e come sempre vide in lei qualcuno di saggio e disincantato, una guida che l'aiutava a districarsi in quella vita di corte così complessa e pericolosa.

Stava per fare qualche domanda in più, quando Caterina e Alessandro arrivarono nella saletta trascinati di peso da una delle balie.

La corpulenta serva ne teneva uno per la manica del camicione e l'altra per la collottola: "Si stavano picchiando nella sala delle armi." annunciò, scura in volto: "Li ho divisi e li ho portati qui."

Lucrezia emise un lungo, lento sospiro e abbandonò una volta per tutte la speranza di poter finire di leggere il suo libro, mentre Bona accorse subito ad assicurarsi sulla salute dei due bambini.

"Grazie, balia." disse Lucrezia, congedando la serva, che uscì con un profondo inchino.

Caterina aveva un'espressione battagliera sul viso arrossato dalla lotta e i suoi calzabrache gialli e bianchi erano strappati su un ginocchio.

Alessandro, di due anni più giovane, era imbronciato e mostrava con un certo orgoglio il farsetto ridotto quasi a brandelli.

"Si può sapere che avete combinato?" chiese Lucrezia, guardandoli dall'alcova in cui stava ancora accoccolata.

I due bambini non volevano risolversi a parlare, mentre Bona continuava a passare dall'uno all'altro con apprensione.

Quando la donna capì che nessuno dei due si era fatto male, si raddrizzò e provò a domandare: "Avete litigato?"

"Stavamo giocando alla guerra..." si lamentò alla fine Alessandro: "E poi quella guastafeste della balia ci ha visti e ci ha fatto smettere."

"È andata così?" indagò Lucrezia, rivolgendosi alla figlia.

Caterina cedette: "Sì. Stavamo giocando alla guerra e lo stavo facendo prigioniero."

"Non è vero!" la riprese Alessandro: "Io stavo riuscendo a scappare!"

"Taci, che ti stavi per arrendere..." lo liquidò Caterina, assumendo un'aria di superiorità che fece scoppiare in risate sia Lucrezia sia Bona.

"Se mai troveremo un marito per Caterina – esclamò Lucrezia, appena riuscì a placare il riso – dovrà essere bravo a difendersi, se non vorrà soccombere al primo scontro!"


Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora