Capitolo 8: Il matrimonio

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"Mi raccomando, mio signore – ribadì Simonetta, girando attorno a un infastidito Galeazzo Maria – solo se farete come vi ho detto vi darà retta. È fondamentale, lo sapete, fondamentale! A voi non oserà fare un torto..."

Girolamo Riario era da poco arrivato al palazzo di Porta Giovia e già Galeazzo Maria avrebbe voluto poterlo cacciare.

Non gli erano piaciuti i suoi vestiti attillati, che sembravano fatti apposta per offenderlo, né l'andatura beffarda che quel pescivendolo ripulito aveva usato per entrare dalla porta principale.

Non aveva apprezzato neppure l'ardire con cui quel bellimbusto s'era presentato, né il modo in cui aveva chiesto se era 'tutto a posto'.

L'unica cosa da cui aveva tratto un perverso piacere era stato vedere quel lampo indefinibile di terrore negli occhi di Girolamo nel momento in cui lo aveva visto osservare il palazzo.

Quel giovane uomo aveva avuto una carriera straordinaria – una carriera non ottenuta col sudore della fronte – che di certo lo aveva sconvolto. Si poteva vedere come si sentisse, nel profondo, inadeguato e di troppo, al palazzo del Duca di Milano.

Savona doveva essere molto diversa, e molto diverse anche le sue occupazioni, prima che Sisto IV diventasse papa e lo risollevasse dalla polvere, facendolo ascendere alle più raffinate e ricche corti d'Italia.

Anche ora che il cancelliere lo rincorreva con mille raccomandazioni e consigli, il Duca aveva di fronte quel barlume di panico che gli dava tanto piacere. Sperava di poterlo vedere presto di nuovo, quel terrore mal dissimulato, ma magari di poter essere lui la diretta causa di tanto scoramento.

"Allora, mio signore? Sapete cosa fare?" insistette Simonetta, alitando sul collo di Galeazzo Maria, che lo scansò malamente con una mano: "Lo so! E ora taci e portami da mia figlia."


Caterina aspettava suo padre con un certo timore. Non era solito chiamarla al suo cospetto, tanto meno ordinarle di attenderlo in qualche stanza per discutere di cose importanti.

Di solito si incontravano per il palazzo o si vedevano a caccia, o nel cortile di addestramento...

Forse, si disse Caterina per farsi coraggio, suo padre voleva vederla perché erano rimasti soli e voleva approfittare dell'occasione per stare un po' con lei.

Però l'arrivo di quel tal Girolamo Riario l'aveva in qualche modo messa in guardia, benché non avesse alcuna prova che quella visita l'avrebbe infastidita.

Quando Galeazzo Maria finalmente arrivò, era solo. Chissà perché Caterina credeva che sarebbe arrivato con Cicco Simonetta.

L'uomo se ne stava sulla porta, incerto, con un atteggiamento non suo. Caterina si tormentava un angolo del camiciotto e non sapeva cosa dire per rompere il silenzio.

"Ascoltate, Caterina." cominciò infine Galeazzo Maria, a voce bassa e guardando il pavimento.

La bambina si immobilizzò, cercando di ricordare quando mai suo padre le avesse dato del 'voi'. La risposta era semplice: mai.

"Avete saputo che oggi è arrivato a corte Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV." proseguì Galeazzo Maria, mentre in petto il cuore sembrava volergli sfuggire, raccapricciato da quello che stava facendo.

"Bene, sono qui per informarvi che egli ha acconsentito a sposarvi, Caterina. Le nozze si terranno oggi e dovrete essere..." la voce del Duca tremò un momento. I suoi occhi volarono verso quelli della figlia.

La guardò un solo momento e Caterina si sentì precipitare nel buio, perché non li aveva mai visti tanto spersi e pieni di fantasmi. Era come guardare attraverso uno specchio e vedere l'inferno.

"Dovrete essere forte, Caterina. E coraggiosa e degna del nome che portate. Non si può essere una Sforza senza subirne le conseguenze." continuò Galeazzo Maria, con più vigore, deglutendo ogni tre parole: "Dopo la cerimonia, sarete condotta in una camera, dove passere la notte col vostro sposo. Il papa stesso vuole così e noi dobbiamo essere bravi cristiani, Caterina..."

La bambina sentiva la testa rimbombare di parole che capiva solo a metà. Stava per sposarsi? Con quello sconosciuto? Perché il papa aveva così deciso?

Il ricordo di sua zia Elisabetta, di come fosse partita per non tornare mai più dalla casa del marito, la invase e la fece tremare.

"So che non cederete. Siete mia figlia, avete il coraggio degli Sforza nelle vene. Avrete paura, magari non capirete, ma so che mi renderete fiero di voi, che affronterete ogni cosa come... Come mia madre Bianca Maria avrebbe voluto che voi..." disse Galeazzo Maria, farfugliando sul finale.

Avrebbe voluto aggiungere un 'perdonatemi se potete', ma non ne ebbe il coraggio.

"Adesso sarete preparata. Poi procederemo subito con la cerimonia." concluse Galeazzo Maria, preda di terribili dolori di stomaco.

Lasciò sola sua figlia, senza più voltarsi a guardarla, con il presentimento terribile che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui vedeva sua figlia, perché era cosciente del fatto che quella notte l'avrebbe cambiata.

Appena fu abbastanza lontano, cominciò a correre, fino a raggiungere la sua camera.

Quando pensò di essere completamente solo, si mise una mano sullo stomaco e i conati si fecero sempre più forti.

Vomitò nel vaso da notte fino a farsi dolere la gola e lacrimare gli occhi e solo quando lo spettacolo fu finito, Cicco Simonetta comparve da un angolo della stanza, facendolo sobbalzare.

Il cancelliere appariva soddisfatto.

"Ora che ho fatto io il lavoro sporco, tocca a te vederne le conseguenze. Non intendo incontrare Caterina fino a che Riario non se ne sarà tornato dal suo santissimo zio..." disse Galeazzo Maria, improvvisamente scosso da nuovi conati.


Rimasta sola, Caterina cominciò a sudare freddo. Poteva scappare. Poteva? Guardò la finestra, ma era troppo in alto, sarebbe morta nel tentativo di fuggire. No, non avrebbe fatto una morte da codarda.

Che poi, scappare da cosa? Non lo sapeva di preciso, e questo era ancora peggio, perché nessuna immagine è più truce di quelle create da una mente sconvolta dalla paura.

Mentre ancora pensava a come trafugare una spada e scappare uccidendo le guardie che le avessero bloccato la strada, entrò nella camera una donna vestita di grigio.

Senza dire una parola, quella donna mastodontica la prese per un braccio e la trascinò nelle sue stanze.

Le cavò i vestiti da maschio e li gettò in un angolo, come fossero stracci. Prese un vestito che Caterina trovava ridicolo e di certo non adatto a lei, e glielo infilò con malagrazia.

La sistemò come meglio le riuscì, sempre senza dire una parola. Caterina avrebbe voluto farle mille domande, prima tra tutte: 'perché le mie madri non sono qui?'.

Agghindata come non mai, Caterina fu condotta verso una stanza sotterranea, cappella improvvisata, dove già aspettava un prete e della gente che non conosceva.

Non si rese neppure conto di quello che stava accadendo, né guardò l'uomo che le si inginocchiava accanto. Prese solo nota del fatto che lì c'era qualcuno di più vecchio e più alto di lei, con una testa di ricci castani e una voce che le incuteva soggezione.

Prima che potesse riordinare le idee, il prete li dichiarò marito e moglie e la donna vestita di grigio la riacciuffò e la fece quasi correre verso una nuova ignota destinazione.


Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora