Capitolo 65: L'onore delle armi

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Il 25 agosto, quando furono del tutto certi che Caterina Sforza stava per lasciare Castel Sant'Angelo e che i cannoni erano ormai stati puntati altrove, i porporati di Roma si riunirono per la messa dello Spirito Santo, presieduta da Marco Barbo, per dare inizio ai lavori del conclave.

Gli stessi vescovi e cardinali che avevano preferito disertare i funerali di Sisto IV per paura di un attacco a sorpresa della Contessa Riario, ora si intrattenevano sollevati e tranquilli davanti all'altare, certi che nulla al mondo li avrebbe potuti sfiorare.

Marco Barbo celebrava con ostentata solennità, quasi a dimostrare a tutti i presenti che nessuno era più adatto di lui a fare il papa.

E intanto, ben lontana ormai la minaccia dei Riario, molti prelati cominciavano a parlare concitatamente del prossimo problema: continuare o meno una guerra contro gli Ottomani?

Quando Caterina Sforza venne a sapere della messa preparatoria, non poté fare a meno di lasciarsi andare a una risata amara.

Se solo non avesse avuto nulla da perdere, avrebbe potuto ripuntare i cannoni e fare fuoco. Li avrebbe uccisi tutti in un colpo solo.

Però aveva ancora i suoi figli, e due città, che, lasciate in balia di Girolamo Riario, di certo sarebbero fallite e sarebbero state travolte dalle sommosse prima del previsto. Dunque non poteva prendersi una simile soddisfazione.


Il 26 agosto, dopo dodici giorni di occupazione, Caterina si stava preparando a lasciare per sempre Castel Sant'Angelo.

Aveva imposto a tutti i soldati di lucidare le armi e le armature e di preparare i loro migliori ornamenti. Ella stessa aveva richiesto abiti ricercati e aveva deciso di utilizzare le insegne degli Sforza, non quelle dei Riario.

Quando ormai erano pressoché pronti per uscire dal castello, Attilio Fossati raggiunse Caterina nei suoi alloggi.

La giovane stava finendo di vestirsi, ma non scacciò il comandante. Anzi, si fece aiutare con gli ultimi lacci. Aveva un gran mal di schiena, quel giorno, e piegarsi per sistemarsi le allacciature era una vera tortura.

"Cosa volevate dirmi?" chiese Caterina, mentre il comandante litigava con le stringhe che chiudevano il vestito sul fianco.

"Volevo avvisarvi che fuori dal castello c'è molta gente, mia signora. Molta più gente di quel che pensavamo." disse Fossati, a voce bassa.

Caterina inarcò un sopracciglio. Strano che i romani sapessero che proprio quel giorno lei avrebbe lasciato Castel Sant'Angelo... Però, pensandoci meglio, era probabile che qualcuno avesse messo in giro la voce, nella speranza che il popolino facesse il lavoro sporco e la ammazzasse, togliendola di mezzo una volta per tutte.

Se Caterina avesse dovuto scommettere su qualcuno, avrebbe puntato su Giovanni Colonna. O su Giuliano Della Rovere. Difficile dire chi dei due l'avrebbe voluta morta in quel momento... Forse entrambi.

"Capisco." disse la giovane, mentre Attilio Fossati annodava anche l'ultimo laccio.

"Quindi, mia signora? Volete aspettare, cambiare programma o procediamo?" chiese il comandante, stringendo il nodo.

Caterina capiva le perplessità di Fossati. Loro non erano pochi ed erano armati, ma sapeva bene quanto la folla popolana potesse essere difficile da contenere. Ricordava ancora la confusione che aveva colto Milano alla morte di suo padre...

"Io non mi tirerò indietro, ma la mia decisione non è un ordine. Chiedete ai soldati cosa vogliono fare – disse alla fine – chi vorrà, potrà uscire più tardi, alla chetichella, conservando tutta la mia stima e tutta la mia riconoscenza."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora