Capitolo 142: Basso profilo

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Il Cardinale Raffaele Sansoni Riario stava rimirando il nuovo telone di pelle pirografata che ricopriva il suo immenso tavolo da biliardo, quando uno dei suoi servi gli annunciò l'arrivo di due soldati di Forlì.

Lì per lì, il porporato restò in silenzio, domandandosi che mai fosse successo. Si riprese abbastanza in fretta, immaginando che si trattasse di qualche cosa di poco conto, probabilmente qualche invito a qualche cerimonia e fece cenno al servo di lasciar pure passare i soldati.

Ottaviano, nella sua ultima lettera, non aveva fatto cenno a nulla di particolare, ma in fondo era solo un bambino. Poteva essere che si fosse scordato di parlare di una cosa che magari non lo interessava personalmente.

"Siamo qui per ordine della Contessa Sforza Riario – cominciò uno dei due soldati, il cui volto era sudato e sporco di polvere, come se avesse cavalcato da Forlì a Roma senza mai fermarsi un momento – che richiede con urgenza la vostra presenza a Imola."

Raffaele si accigliò e, con un sorrisetto confuso, disse: "Non credo che la vostra signora abbia bisogno di me a Imola..."

La sola idea, in effetti, lo divertiva. Perché mai Caterina, che lo aveva sempre ritenuto un inetto, avrebbe dovuto mandarlo a chiamare? Per andare a Imola, poi...!

I due soldati si guardarono per un fugace istante, ricordando le parole della Contessa, che aveva detto loro di portarle il Cardinale a ogni costo.

Uno dei due fece un ultimo tentativo pacifico: "Dovete partire oggi stesso assieme a noi, perché la Contessa richiede il vostro intervento a Imola. Il castellano della rocca ha preso in ostaggio i suoi figli, sostenendo che la Contessa stia per risposarsi."

"E io che c'entro?" provò in extremis il Cardinale, prendendo tra le dita il crocifisso d'oro abbellito da pietre preziose che portava al collo.

"Il castellano sostiene che siete stato voi a metterlo di quest'avviso." precisò il secondo soldato, con fare meno amichevole.

"Dunque la Contessa vuole che voi andiate dal castellano e lo facciate ragionare, prima che la situazione trascenda." concluse il primo, appena più diplomaticamente.

Raffaele boccheggiò un minuto, in cerca di una scusa per sottrarsi a quel viaggio, che, visto il clima freddo e piovoso, sarebbe stato una vera odissea, ma non trovò nulla di convincente.

"Faccio preparare i bagagli." si arrese, alla fine.

"Bagagli leggeri, mi raccomando." lo redarguì il soldato meno affabile: "Dobbiamo cavalcare veloci."


Fregosino guardava all'orizzonte, in attesa di vedere finalmente il profilo di sua moglie.

Sentiva nella tasca interna del suo mantello da viaggio il peso del danaro che era riuscito a salvare. Nella mano stringeva ancora il documento con cui Ludovico Sforza gli permetteva una ricompensa di mille monete d'oro.

Lui era stato quello a cui era stato concesso meno, ed era giusto così. Era stato lui, alla fine, a far cedere suo padre. Anche se volevano combattere fino alla morte, in quel finire d'ottobre avevano deciso per la resa.

Suo padre voleva resistere, fino a vedersi sopraffatto dai milanesi, anche a costo di finire impiccato alla porta della fortezza di Castelletto. Anche Fregosino aveva creduto di pensarla così, ma poi aveva rivisto Chiara e l'idea di non poter più passare con lei i giorni e le notti lo aveva terrorizzato.

Se fosse morto in quella fortezza, non avrebbe mai più potuto vivere accanto a sua moglie...

Così aveva fatto del suo meglio fino a convincere suo padre a lasciare la fortezza al Moro. Questi aveva capito chi c'era dietro alla resa dei Fregoso e aveva concesso una somma in denaro, in segno di riconoscenza.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora