Il cielo grigio di inizio settembre incombeva sulla rocca di Imola, mentre la Contessa Sforza Riario cercava ovunque il cocchiere che avrebbe dovuto accompagnare lei e suo marito a Tossignano.
Qualcuno tra gli stallieri le aveva detto che l'uomo era uscito la sera prima, diretto probabilmente in qualche osteria, e da allora nessuno lo aveva più visto.
Giacomo Feo, un po' scocciato da quel contrattempo, aveva proposto di trovare un altro cocchiere, ma Caterina non era tranquilla. Aveva imparato a non sottovalutare i casi e le coincidenze e quindi era ben decisa ad andare a fondo della questione, prima di prendere qualunque decisione.
Non dovette in realtà cercare molto, perché dopo poco arrivò alla rocca un imolese, che, stringendosi le mani al petto, andava a riferire che il cocchiere della Contessa era stato trovato morto fuori da un'osteria, dove la sera prima era scoppiata una rissa come non se ne vedevano da anni.
C'erano anche dei testimoni che lo avevano visto fare a pugni con un giovane garzone di stalla e che avevano avuto fin da subito il sospetto che le percosse lo avrebbero condotto a una brutta fine.
"E quello che l'ha ucciso come sta?" chiese Caterina, assumendo un'espressione grave, mentre l'imolese si affrettava a rispondere con servilismo: "Male, mia signora... Potrebbe non arrivare vivo a sera."
"Lo spero per lui, altrimenti conoscerà le celle della rocca di Imola." ribatté la Contessa.
Giacomo, che stava accanto a lei, la guardò un po' stranito, quasi sorpreso da tanta fermezza, messa in campo per quello che era solo un servo e un avvinazzato, e non poté opporsi quando sua moglie annunciò: "Daremo sepoltura al nostro servo, prima di partire per Tossignano."
Andrea Bernardi era senza forze e aveva lo stomaco chiuso, la testa che girava e un vago senso di nausea. Non era un uomo d'azione, lo aveva sempre saputo.
Quando il suo cavallo, stremato, lo portò fin davanti alla rocca di Imola, sotto alla cappa grigia di quella metà mattina, il Novacula fu certo di aver fallito nel suo intento. Era tanto abbattuto che quasi non aveva nemmeno voglia di provare a chiedere alle guardie se la Contessa fosse ancora lì.
Ci aveva provato, ma si era anche perso un paio di volte, passando per i boschi, e così aveva sprecato il poco tempo che aveva a disposizione.
Quasi alle lacrime, il barbiere smontò comunque di sella, atterrando con gambe malferme e con una sensazione strana, come di mal di mare, che lo rendeva insicuro nell'incedere.
Credette a un'allucinazione dovuta alla fatica, quando vide uscire dal portone principale della rocca una donna che conosceva molto bene.
Caterina strinse gli occhi per guardare meglio, quando intravide l'uomo appena sceso dalla sua cavalcatura. Le pareva del tutto illogico che Andrea Bernardi, il pacifico barbiere di Forlì, fosse lì davanti a lei, sudato fradicio e con lo sguardo sconvolto.
"Mia signora...!" esclamò il Novacula, ritrovando la baldanza e correndole incontro.
Giacomo, un paio di metri più indietro, guardò il forlivese con un certo distacco e chiese: "Che volete?"
Caterina non si prese il disturbo di riprendere il marito per il tono insolente che aveva usato e si mosse rapida verso il barbiere per andargli incontro, risparmiandogli qualche metro di corsa.
"Mia signora... Temevo di non fare in tempo!" esclamò Andrea, tanto felice da sentirsi svenire.
"Ne siete davvero sicuro?" chiese Caterina, fissando con insistenza il Novacula, che aveva accettato di entrare nella rocca per bere e mangiare qualcosa e, soprattutto, sedersi un momento per riprendere fiato.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Historical FictionCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...