Capitolo 43: Incertezza

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Federico da Montelfeltro si era spento il dieci settembre del 1482, a pochi giorni di distanza da Roberto Malatesta.

La morte di Montefeltro, che era rimasto al comando delle truppe ferraresi fino all'ultimo momento, gettò Ercole d'Este in uno stato di inquietudine che non conosceva da molto tempo.

Al sud sapeva che Napoli, sua alleata per motivi matrimoniali, era in seria difficoltà e che anche la dipartita di Roberto Malatesta – che aveva fatto miracolosamente in tempo a dettare il testamento a Raimondo Malatesta, proprio sul letto di dolore, lasciando la propria signoria al figlio Pandolfo – non aveva fiaccato poi molto le truppe papali, che continuavano a raccimolare terreno, strappandolo dalle mani del Duca di Calabria.

E ora, al nord, laddove faceva più male, era venuto a mancare il caro Federico, proprio nei giorni in cui Ferrara cominciava a ottenere qualche vittoria degna di nota.

Ercole si vedeva costretto a un'azione che aveva fino a quel momento rimandato. Temeva di non essere più in grado di sostenere una guerra tanto dispendiosa e le truppe veneziane parevano ogni giorno più numerose e agguerrite.

Così, quella sera, solo nel suo studiolo, Ercole d'Este prese carta e inchiostro e scrisse una missiva diretta a Ludovico Sforza, reggente di Gian Galeazzo Maria Sforza, futuro Duca di Milano.


Ludovico stava congelando nelle stanze fredde e austere del Palazzo di Porta Giovia. L'estate era appena terminata, ma l'inverno sembrava assai bellicoso.

La pianura padana, a quel che si diceva, languiva da giorni coperta da nebbia ghiacciata e non pochi contadini prevedevano a breve di avere i campi coperti di neve.

Nemmeno Milano era messa meglio. Anche quel pomeriggio, scuro, uggioso e nebbioso, quando arrivò un messo da Ferrara, il clima era del tutto invernale.

Ludovico ringraziò il messaggero e lo congedò. Chiamò a sé il suo consigliere e insieme si ritirarono in una delle stanze più piccole, per leggere con calma la lettera scaldati dal fuoco.

Con le dita intirizzite e il fiato che sollevava nuvolette di condensa, Ludovico cominciò a snocciolare le parole scritte da Ercole d'Este in persona. Gli faceva un chiaro riassunto della situazione e lo pregava di ricordarsi il suo fidanzamento con una Este.

"Dunque?" chiese il consigliere, accavallando le gambe, nel tentativo di scaldarsi un poco.

Ludovico fece spallucce e si schiarì la voce, agitando il pezzo di spessa pergamena davanti al camino: "Ercole ha una buona visione d'insieme e credo anche io che una tregua sarebbe utile, soprattutto in vista dell'inverno che sta arrivando."

Il consigliere annuì, d'accordo su tutta la linea, e aggiunse: "Dunque non resta che contattare Napoli."

"E Firenze." intervenne Ludovico, che da molto tempo coltivava l'amicizia di Lorenzo Medici: "Anche loro devono essere coinvolti. Lorenzo nutre troppi sospetti verso il papa per restare indifferente a questa situazione. Sfrutteremo la sua sete di vendetta per far paura a Roma."

Il cancelliere sorrise e fu scosso da un piccolo brivido: "Se non c'è altro, mi ritiro nelle mie stanze. Qui fa davvero troppo freddo..."


Quella mattina faceva freddo anche a Roma. Caterina era uscita presto, sola con un paio di soldati, e aveva cavalcato fin quando il sole era stato alto in cielo.

L'azzurro pallido macchiato solo da qualche piccola e sfilacciata nuvola la sovrastava e sotto gli zoccoli del cavallo c'era solo erba spenta e mezza bruciata dalla gelata di quella notte. Sì, a Roma c'era stata una gelata.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora