"Ma non lo capite?" proseguiva l'uomo arrivato da Firenze: "Quelli vi vogliono rendere schiavi di Milano! Aspetteranno qualche mese, forse, ma poi sarete venduti al Moro!"
Alcuni contadini di Val di Lamone cominciarono a parlottare tra loro. Non era il primo forestiero che arrivava da loro a dire cose del genere.
Il giorno prima, un altro aveva assicurato loro che anche alcuni faentini, presto o tardi, avrebbero cominciato a inneggiare al Duca di Milano, segnando una volta per tutte la resa della città.
"E allora – aveva detto lo straniero – da gridare in due o tre 'Duca' a trovarsi sommersi dalle tasse, il passo sarà davvero breve, che la cosa vi garbi o meno!"
Così, anche quel giorno, il sangue ribolliva nelle vene di quelli che stavano ascoltando il forestiero e ognuno cominciava a guardare male il proprio vicino, come a convincersi che davvero ci fossero dei sostenitori di Milano infiltrati tra i faentini.
"E non dimenticate – aveva concluso lo straniero, indicando il cielo con l'indice – che a Forlì e a Imola regna la Tigre, che del Moro è la nipote! Quella non ha avuto problemi a lasciare i figli in mano a degli assassini, credete che avrebbe pietà di voi?"
E così, nella mente di tutti quanti, Milano cominciava a essere vista come una minaccia, molto più pericolosa della peste e molto più temibile di ogni altro tiranno.
Quella mattina Caterina attendeva la prima visita di Antonio Maria Ordelaffi.
Non l'aveva voluto vedere nella rocca di Ravaldino, ma nel palazzo in cui aveva vissuto con Girolamo. In fondo, era ancora l'edificio di rappresentanza e la sede della vita politica. Inoltre, da quando era riuscita a recuperare la quasi totalità del mobilio, il palazzo era tornato a essere abbastanza accogliente.
Sua sorella Bianca, in merito, le aveva anche domandato quando sarebbero tornati a vivere là, ma Caterina aveva fatto finta di non essere ancora tranquilla a star fuori dalla rocca e in tal modo aveva archiviato l'argomento.
Così, seduta sullo scranno appena un po' rovinato che i forlivesi avevano gentilmente restituito, Caterina aspettava l'arrivo del baldo ventiquattrenne che tanto aveva insistito per vederla.
"Antonio Maria Ordelaffi." annunciò un maestro di cerimonie improvvisato.
Era una scocciatura rimpiazzare tutti gli epurati, i fuggiaschi e deceduti e così qualche carica era ancora ballerina, come quella del maestro di cerimonie.
Caterina ringraziò l'uomo con un cenno del capo e si raddrizzò contro lo schienale mentre nella sala entrava l'Ordelaffi.
Aveva la figura slanciata e atletica di cui tutti parlavano ed effettivamente il suo viso era molto regolare e i suoi capelli curatissimi, così come i suoi vestiti. Tuttavia, l'antipatia che Caterina provò immediatamente nel vederlo pregiudicò in anticipo la riuscita del suo piano.
"Mia signora..." disse Antonio Maria, inchinandosi tanto profondamente che per poco non perse l'equilibrio, suscitando l'ilarità della Contessa che, però, trattenne alla perfezione il riso.
Caterina stava mostrando una delle tante maschere che aveva saputo crearsi nel corso degli anni.
Sorrideva, pacata, gentile, apparentemente lieta per quella visita, mentre dentro di sé non vedeva l'ora di cacciare fuori dalla stanza quel bellimbusto e farsi due risate alle sue spalle.
"Volevo porgervi anche di persona le mie più sentite condoglianze per la prematura e ingiusta dipartita del vostro compianto marito, il beneamato Conte Girolamo Riario. Mi chiedo come possa essere successa una simile tragedia...!" disse Ordelaffi, facendo un paio di passi verso di lei, forse aspettandosi che Caterina allungasse il braccio, permettendogli di esibirsi in un galante baciamano.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte I)
Fiction HistoriqueCaterina Sforza nacque a Milano nel 1463. Figlia di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, passò la prima parte della sua infanzia tra i giochi spensierati e lo studio al palazzo di Porta Giovia di Milano. Dall'età di nove anni, però, la sua v...